Venti di guerra tra Israele e Libano Scontri a fuoco sul confine: 5 morti

L’incidente più grave che il confine israelo-libanese abbia conosciuto dalla guerra del 2006, e che ha causato un morto israeliano più un ferito grave e quattro morti libanesi, ha qualcosa di surreale: un attacco a fuoco da parte dell’esercito libanese, non di Hezbollah, di cui è difficile vedere le ragioni se non in una crisi d’odio tipica del conflitto arabo-israeliano, o in un piano molto sofisticato che promette guerra. Le guerre qui nascono fra i cespugli delle montagne e la polvere di strade sterrate con spari e rapimenti inaspettati. Così fu il 12 luglio del 2006 vicino a Zarit; stavolta, e speriamo non sia guerra, a metà della caldissima giornata di ieri l’esercito libanese ha reagito con l’artiglieria alla presenza di una pattuglia israeliana in una delle enclave vicino al kibbutz Misgav haAm, fra la linea blu, il confine stabilito dall’Onu, e la barriera di sicurezza israeliana: nelle enclave Israele ha il permesso di entrare, ma data l’incertezza dell’appartenenza, entrarvi è sempre un rischio, come si è visto in un simile incidente nel 2007. Stavolta si trattava di ripulire da cespugli e alberi per garantire la visibilità, e pare che l’esercito israeliano sia entrato anche con macchine fotografiche molto sgradite ai libanesi.
L’esercito libanese, secondo la versione israeliana ha dunque mitragliato la pattuglia israeliana. Forse è stato allora che i colpi libanesi hanno ucciso il comandante delle riserve israeliano Dov Harari, che pure era completamente in territorio israeliano, e sono stati feriti altri due soldati, di cui uno gravemente. La dinamica non è chiara. Si sa dal portavoce dell’esercito che allora gli israeliani hanno attaccato la postazione dell’esercito libanese che sparava ai suoi, uccidendo tre soldati libanesi e un giornalista che era con loro.
Il Libano sostiene che Israele ha torto perché era entrato nel suo territorio. Sia il Libano che Israele si sono rivolti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per ottenere la condanna; Bashar Assad ha telefonato al presidente libanese Suleiman per dichiarargli di essere al fianco del Libano, una metafora davvero interessante da parte di chi l’ha occupato per trent’anni e oggi tiene un piede oltre la porta tramite Hezbollah; i leader arabi non hanno perduto l’occasione per condannare «l’aggressività di Israele».
L’Unifil, la forza di interposizione istituita dopo la guerra del 2006 dall’Onu, ancora non si pronuncia sulle responsabilità, ma certo avverte, come ultimamente quando è stata assalita dagli amici di Hezbollah in vari villaggi del Sud, la sua intrinseca debolezza dovuta alle regole di ingaggio. Israele sostiene che proprio all’Unifil ha notificato, senza obiezioni, le sue operazioni di sistemazione nell’enclave vicino a Taibe. Il comandante della Forza dell’Onu, Sante Bonfanti, si è fatto un giro d’elicottero per verificare che le cose tornassero tranquille, e dice che adesso sembra tornata la normalità. Ma il Libano in questo momento soffre di una pesante crisi di instabilità, e l’Unifil risulta più disarmata che mai. Tutto può succedere. L’esercito libanese, che dovrebbe essere il garante della calma nella zona sud occupata da Hezbollah con i suoi 50mila missili, conta parecchie divisioni completamente sciite, amiche di Hezbollah: per questo all’esercito non piace sorvegliare il confine per frenare gli uomini di Nasrallah. E oggi Hezbollah, organizzazione sciita legata all’Iran e alla Siria, ha tutto l’interesse a che si crei un poderoso diversivo in Libano, perché il Tribunale internazionale ha annunciato la sua incriminazione per l’assassinio del presidente Rafik Hariri.
Il Libano è nella morsa armata di Hezbollah, che ha anche impedito il positivo sviluppo della Rivoluzione dei Cedri seguita all’assassinio di Hariri. Stavolta è rimasto in seconda fila, anche se in serata Nasrallah ha detto: «Al prossimo attacco risponderemo con le armi». Il generale Gadi Eisenkot ha definito l’evento «un agguato pianificato», e il premier Netanyahu ha detto di ritenere il governo libanese responsabile della provocazione.

È legittimo chiedersi se lo scontro di ieri sia correlato ai missili sparati nel week-end su Sderot e Ashkelon e a quelli che lunedì hanno colpito Eilat e Aqaba: il terrorismo sunnita e sciita agisce insieme più di quanto non sia mai stato; l’Iran intende tenere Israele occupata mentre procede nel programma nucleare; Hamas vuole impedire il processo di pace fra israeliani e palestinesi. Tutti questi scoppi parlano di parecchie armi e di molta aggressività nell’aria. Non c’è che da sperare che il governo libanese sia forte più di quanto non usi.

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