Il vero regime arriva dopo il Cav

E' quello che vorrebbe imporre la sinistra, cancellando le idee maturate in questi anni

Il vero regime arriva dopo il Cav

Quello di Berlusconi non era un regime, lo abbia­mo visto, e invece è un regime potenziale il ca­stello di propositi e ambizioni di cui si nutrono i suoi arcinemici, una certa sinistra nutrita dalle idee e dalle battaglie del gruppo Espresso-Repubblica .

Berlusconi ha vinto tre volte le elezioni, è stato all’opposizione per undici anni complessivi da quando entrò in politica, ha cambiato alla radice il modo di essere dei partiti e dei gruppi sociali, le abitudi­ni e la mentalità della classe diri­gente, si è defini­to come un feno­meno internazio­nale, un caso di scuo­la nel bene e nel male, dall’alternanza realizzata al conflitto di interessi. Due mesi e mezzo fa se ne è andato con tocco leggero in mezzo a una crisi finanziaria di cui era solo in parte re­sponsabile, e si è accordato con il presidente della Repubblica per un governo tecnico di tregua e, co­me si dice «d’impegno naziona­le ». Berlusconi ha subìto, rivendi­cando il proprio senso di respon­sabilità, un rovesciamento del ri­sultato elettorale facilitato dal­l’erosione progressiva della mag­gioranza parlamentare, e lo ha ac­cettato senza chiedere quel che il Quirinale non poteva negargli, lo scioglimento delle Camere e nuo­ve elezioni. Non ha chiesto garan­zie, nemmeno indirette e oblique, su alcunché: contro di lui conti­nua un clamoroso accanimento giudiziario e un formale, sprez­zante maltrattamento del tribuna­le di Milano, e le sue aziende sono esposte come beni al sole alla bat­taglia campale in corso da due de­cenni almeno, esattamente come nel 1994, il famoso anno della di­scesa in campo. Può essere che la decisione di cede­re alla tregua tecnocratica si riveli alla fine fatale per chi l’ha presa, e chi scrive non l’ha condivisa, ma il fatto che ci sia sta­ta illumina il cam­mino­pubblico di Ber­lusconi di una luce diver­sa da quella fosca e torbida che i guru dell’opinione pubblica hanno da sempre gettato su di es­so.

Non era un regime tendenzial­mente tirannico, come sosteneva­no i suoi detrattori vocianti in Ita­lia e all’estero, quello del Cavalie­re. È stato un cartello elettorale ca­pace di vincere e di perdere, una rivoluzion­e di linguaggio e di costu­me che ha salvato dalla dannazio­ne la vecchia destra missina, rein­s­erita come forza di governo costi­tuzionalizzata nel sistema, e una Lega per molti anni libera dal fan­tasma secessionista, ora

in balìa di convulsioni e pulsio­ni incerte. Un’Italia che non si co­nosceva, ma che esisteva, è pro­gre­ssivamente emersa e ha rivendicato i suoi diritti di identità poli­tica.

Anche il periclitante e trafela­to centrosinistra, due Ulivi e un’Unione e una foto di Vasto e chissà cos’altro ancora, è figlio di questa esperienza politica pubbli­ca dell’industriale e tycoon mila­nese prestato alla politica.

Invece qualche segno mostra che l’ambizione ideologica e civi­le degli arcinemici di Berlusconi è di estirpare le nuove libertà di comportamento e di idee matura­te in questi anni, di liberarsi di un avversario ancora temibile e anco­ra utile nelle tattiche di demonizzazione, e di varare un regime di conformismo del pensiero domi­nante.

Il capo del Pd ha dato una buo­na intervista sui temi della giusti­zia, tende a differenziarsi, ma non basta. Sono in molti a lavorare, il giornale e partito che si chiama Re­pubblica in testa, per un regime fondato sull’obiettivo di sempre: sfondare la tv commerciale, pro­strarla, e abbattere anche solo il ri­cordo di Berlusconi nei processi surreali che ancora lo perseguita­no, alla ricerca di una giustizia sommaria e di condanne che han­no l’aria di un supplemento di guerra civile fuori tempo massi­mo. Serve, alla bisogna, mettere zizzania tra il partito di Berlusconi e il governo, dentro il partito di Berlusconi, con un supplemento di criminalizzazione ideologica dell’opposizione leghista, per la verità più che incline a farsi criminalizzare in virtù del linguaggio folleggiante e borderline del suo capo.

La campagna è in pieno corso.

Non c’è uno straccio di intellettua­le­liberal o di opinionista o di testi­mone della società civile che ab­bia il coraggio di riconoscere che il Caimano non era un Caimano, che l’epoca dei processi e del boi­cottaggio della tv commerciale de­ve finire, si moltiplicano invece i tentativi di rinverdire l’aggressio­ne ad personam contro Berlusco­ni, e di spargere veleni capaci di scongiurare un esito ordinario di questa fase di tregua istituzionale (Monti è considerato dai republi­cones disertore della battaglia, con quelle sue misurate rivendica­zioni di continuità con il governo del predecessore); perché il ricor­do dell’animale feroce e vorace che non è mai esistito è decisivo per estirpare anche solo l’idea che possa esserci per il futuro un lasci­to politico di questi anni, e per con­sentire che la lotta politica in Italia possa non richiudersi in una con­f­littualità conventicolare tra lob­by che considerano «populismo» l’esercizio della sovranità politica e l’alternanza di governo tra forze diverse.

Quello di Berlusconi non era un regime,il loro progetto sì. Forse biso­gnerebbe evitarsi l’ultimo erro­re di favorirlo, e bisogna fare il con­trario di quello che gli arcinemici si attendono.

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