A Verona si ferma il tempo Niente auto, si gioca coi tappi

Città chiusa per portare in strada i passatempi di una volta: biglie, birilli, calcio-balilla, cerbottane, tiro alla fune. E i genitori tornano bambini

nostro inviato a Verona
Il proverbiante anonimo sarebbe orgoglioso di aver definito i veronesi «tuti mati». Bisogna essere matti per chiudere al traffico mezza città tre giorni di fila senza smog e targhe alterne, senza un festival culturale come a Mantova, senza i mercatini natalizi dell’Alto Adige o la godereccia notte bianca nella Roma di Veltroni. Verona è stata chiusa per giocare. Giochi in strada, giochi di una volta. Bisogna essere matti per restituire gli angoli più suggestivi della città ai legittimi proprietari, la gente, le famiglie, i gruppi di amici, che la sera sfrecciano in bicicletta nei vicoli medievali per la caccia al tesoro, la mattina dopo si mettono in coda per il lancio della forma di formaggio, il pomeriggio scendono dalle Torricelle con i carrettini a sfera, la sera si radunano in piazza Erbe per la partita a scacchi gigante e il mattino dopo ricominciano con gli aquiloni, il backgammon, il salto con la corda, il frisbee. Le auto, alla larga.
E poi in piazza Duomo la lippa, che da queste parti si chiama s-cianco: un cilindretto di legno appuntito alle estremità, un bastone per colpirlo a terra, farlo volare, colpirlo di nuovo e spedirlo lontano. Il tiro alla fune davanti agli occhi di Madonna Verona in piazza Erbe. La morra nei vicoletti su tavolini coperti di panno rosso. La fionda e le gare di cerbottane in riva all’Adige. Le partite a tappi sotto la statua di Dante. Le trottole in pista sotto il balcone di Giulietta. E le biglie, i birilli, la dama, il calcio-balilla che esce da scantinati e soffitte e attira più appassionati del Chievo in serie A. O la novità più recente, il parkour, l’arte di sapersi spostare: un gioco di strada inventato vent’anni fa in Francia da due tizi che iniziarono ad applicare in un ambiente urbano (il sobborgo parigino di Lisse) le tecniche imparate da piccoli rincorrendosi in boschi e campagne. Invece che scalare alberi e guadare torrenti si volteggia da un palazzo all’altro, si balza dai balconi, ci si arrampica sui cornicioni, si scavalcano automobili e cancelli come nei film.
I giochi sono 50. Brevissime le pause di un programma frenetico che copre tre giorni (da venerdì a ieri): c’è tempo per musiche e danze tradizionali sul Lungadige o per aperitivi musicali nelle osterie, perché nel Nordest anche il cibo è divertimento. O una passeggiatina a vedere il ponte Postumio: l’avevano edificato i romani, l’hanno distrutto le guerre, l’hanno ricostruito due architetti con l’aiuto della Fondazione Arena. Una struttura leggera di 102 metri a cavallo del fiume per «ricordare a tutti com’era l’antica pianta della città e ricreare lo spazio ludico di una volta». Sembra che tra il ponte Postumio e il ponte Pietra si svolgessero le naumachie, battaglie navali. Giochi in strada e giochi in acqua.
Questo festival degli svaghi non ancora dimenticati si chiama “Tocatì”: “tocca a te” nel dialetto veneto, intercalare in disuso nell’epoca in cui prevale la tecnologia della solitudine, i “gameboy”, le playstation, l’i-pod. In appena quattro edizioni “Tocatì”, con l’appoggio del Comune, è già diventato un appuntamento internazionale: quest’anno ospite d’onore la Spagna che ha portato 17 giochi popolari, “bolas”, “luchas”, “pelotas” tutti spiegati, insegnati e giocati in questo improvvisato Paese dei balocchi. E ha attirato persone da tutta Italia, più di quando c’è l’opera o la Fiera dei cavalli: gente che corre, saltella, pedala, batte i pugni, bimbi che scoprono divertimenti mai visti, papà che ritornano bambini.
I bambini veri, almeno nel cuore, sono quelli dell’Associazione giochi antichi da cui è partito tutto. Da buoni veronesi “mati”, hanno piazzato la sede in un’osteria, “Le petarine”, nell’antico quartiere della Carega, tra “ombre” e “goti”. Goliardi saggi. «Non siamo dei nostalgici - spiega Giuseppe Giacon, uno degli organizzatori -.

Siamo un gruppo di amici cui piace giocare. Giochiamo, ricerchiamo, recuperiamo giochi antichi e trasformiamo spazi urbani. E cerchiamo di far capire che il gioco non è soltanto un’occupazione per passare il tempo libero».

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