Versace s’innamora di un uomo nuovo: il tenero malandrino

«Bisogna stuzzicare l’erotismo femminile» dice Donatella Versace poco prima di far sfilare i sensuali modelli della sua collezione uomo per l’estate 2010. «Voglia di evasione, di leggerezza e libertà con l’attitudine sportiva e super chic di chi si può concedere lunghe vacanze sulle spiagge del Brasile» spiega Frida Giannini dopo la strepitosa sfilata Gucci. Le due signore in qualche modo hanno fatto la stessa cosa: un superbo lavoro di traduzione dal sogno alla realtà senza comunque dimenticare (e in questo sta la vera bravura) il target di riferimento delle rispettive griffe.
La bionda signora del made in Italy sostiene di aver immaginato un soldato della Legione Straniera nel deserto, il classico personaggio romantico e virile per cui qualunque donna può perdere la testa. Più propenso alle battaglie d’alcova che non a quelle all’arma bianca, l’uomo Versace indossa pantaloni di linea sciolta, lunghe tuniche al posto della camicia e impeccabili giacche sartoriali. La sua prorompente sensualità viene esaltata dal mix tra materiali leggerissimi, colori chiari e il sapore tanto etnico quanto militare degli accessori tra cui le desert boots in canvas e i ciondoli ispirati alla tradizione dei Tuareg che si ritrovano sotto forma di passamaneria ricamata sulla banda laterale degli smoking. Insomma dopo la sfilata di ieri anche Donatella può dire come faceva Mae West: «Sono venuta a dividere gli uomini dai ragazzi».
Frida Giannini è invece partita da un film girato da Jean Paul Belmondo nel 1963: L’uomo di Rio. In questa pellicola l’indimenticabile Bebel interpreta la parte di una specie di 007 francese. Da qui l’idea di un lusso maschile meno forzato e più disinvolto del solito, la quintessenza dello stile Gucci con un’attitudine sportiva. Così il gilet di camoscio profilato sembrava il giubbotto di assetto variabile delle immersioni subacquee, mentre i pantaloni della muta di neoprene abbinati alle magnifiche T shirt stampate parlavano il linguaggio del kite surf.
Il bianco delle prime uscite e dei fantastici giubbotti in pelle traforata impacchettabili su loro stessi facevano da cornice agli accessori tra cui tutte le borse in coccodrillo o pitone opacizzati da un nuovo trattamento messo a punto dalla maison. Il tutto con la pulizia di forme e la modernità dei grafismi dei palazzi progettati da Oscar Nimeyer per Brasilia. Insomma l’intelligente ragazza alla guida creativa di Gucci non sbaglia un colpo.
Totalmente diversa anche se sempre ispirata da un vecchio film (Il giorno dello sciacallo, girato da Fred Zinnerman nel 1973) la seconda collezione uomo disegnata per Gianfranco Ferrè da Tommaso Aquilano e Roberto Rimondi dimostra che il duo stilistico funziona e che l’azienda, nonostante i problemi finanziari del Gruppo Ittierre, ha un patrimonio di maestranze dall’insuperabile talento produttivo. Le giacche lunghe a redingote avevano infatti meravigliosi tagli sartoriali esaltati dai materiali: lino o cotone, lana bi elastica, pelle accoppiata al neoprene o cashmere estivo.
Certo l’algido giovanotto di Ferrè a prima vista non sembra avere nulla in comune con il personaggio visto sulla passerella di Vivienne Westwood: un attore passato dal set alla vita reale con in testa una volta il cappello di Robin Hood, un’altra il turbante da indiano, la faccia coperta dalla maschera del jocker oppure l’occhio bendato del pirata della filibusta.

Ma tutto questo che fa parte del gioco delle gag da sfilata, non toglie nulla alla vera creatività di certi dettagli come la pistagna della camicia che diventa cravatta. Del resto la Westwood è un’icona dell’avanguardia che lo scorso anno ha fatturato 150 milioni di euro, il 20 per cento in più rispetto al 2007.

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