Il vertice degli equivoci

Presentato pomposamente come una conferenza di pace, l'incontro romano di ieri si è concluso rispettando le previsioni più realistiche (e pessimistiche), cioè senza alcuna decisione. La gentilezza diplomatica di Condoleezza Rice ne ha dato il senso quando ha detto che «non dobbiamo solo parlare, ma anche agire e passare ai fatti». Però l'unico atto necessario, cioè il dispiegamento sul campo di una forza internazionale che assicuri il disarmo di Hezbollah, è al momento impossibile. Non c'è alcun accordo sulla sua formazione, Chirac ha gelato l'ipotesi di una responsabilità della Nato, Kofi Annan ha confermato l'ambiguità e l'impotenza dell'Onu, c'è un'evidente difficoltà a istituire una missione militare in una zona di guerra aperta e sulla base della risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza, ci sono profonde divergenze strategiche in Occidente. Nessuno dei partecipanti ha trovato l'argomento risolutivo, nemmeno il governo italiano a cui spettava, da promotore dell'iniziativa, un ruolo centrale e non solo come ospite. Massimo D'Alema non aveva nulla in mano. I veri protagonisti della crisi erano assenti. Israele, che ha reagito ad un attacco contro il proprio territorio, non è stato neppure invitato. L'Iran di Ahmadinejad - il grande burattinaio - è rimasto sullo sfondo, un «non detto», nonostante la miscela esplosiva rappresentata dalla questione nucleare e dal suo coinvolgimento nel conflitto attraverso le milizie sciite.
Fortunatamente la dichiarazione congiunta, diffusa al termine del colloquio, ha una sua chiarezza, grazie essenzialmente alla presenza della Rice. Altrimenti potrebbe sollevare molti equivoci l'investitura che Nabih Berri, il presidente del Parlamento libanese, ha attribuito all'Italia a nome di Hezbollah, chiedendo «un impegno al governo Prodi» per giungere al cessate il fuoco. Sì, equivoci, visto che c'è da chiedersi perché un'organizzazione terroristica, braccio armato di un regime come quello di Teheran il cui presidente chiede la cancellazione di Israele, abbia espresso questa preferenza. C'è da chiedersi quale fiducia nutra nel ruolo della diplomazia del centrosinistra e quale vicinanza senta. C'è da chiedersi, in altre parole, se anche la politica estera dell'Unione, come già quella francese, venga vissuta come un fattore eccentrico rispetto all'impegno occidentale nel grande scontro che si è aperto. Uno scontro che va oltre la vecchia questione israelo-palestinese e che ha come protagonista l'offensiva combinata da Hamas, Hezbollah, Siria e Iran. Che cosa ha avvertito Berri?
Qui c'è un problema di fondo che riguarda gli orientamenti strategici del governo Prodi. Si potrebbe discutere pacatamente se questi orientamenti fossero determinati da una valutazione dell'interesse nazionale e dall'individuazione di positive opportunità per il ruolo dell'Italia nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Ma c'è il sospetto che si tratti di ben altro: il centrosinistra si regge essenzialmente sull'apporto della sua componente antagonista, la sua tenuta è stata messa in discussione in modo serio dalla prosecuzione della missione in Afghanistan, alcune sue componenti hanno già detto esplicitamente di non accettare la partecipazione italiana ad un'operazione in Libano per disarmare Hezbollah, perché ciò andrebbe solo a vantaggio di Israele. C'è il legittimo sospetto che questo sia il problema.

Che non si tratti di politica estera, ma di tentativi di sopravvivenza interna, utilizzando una rendita di posizione diplomatica. Di certo c'è che il governo ha giocato pesante, ha presentato all'opinione pubblica come una conferenza di pace un colloquio internazionale che non ha avuto alcun effetto.

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