"Vi spieghiamo perché il nostro modello è vincente"

Tavola rotonda sulla sanità lombarda. Specialisti e direttori generali degli ospedali a confronto su liste d’attesa, qualità delle cure e gestione dei pazienti

A dire che la sanità regionale funziona sono i numeri: la Lombardia è una delle due regioni italiane con i conti in attivo (di 207 milioni di euro) e che non ha buchi economici da sanare.
Noi abbiamo voluto capire cosa porta ad avere a fine anno un bilancio con segno positivo. E soprattutto quali sono i motivi che inducono a definire quella lombarda una sanità di eccellenza. Ne abbiamo parlato, in una tavola rotonda organizzata nella nostra redazione, con i protagonisti della sanità, quelli che ogni giorno lavorano nei reparti, nelle sale operatorie e nelle amministrazioni delle aziende ospedaliere. Al confronto, introdotto dal condirettore Alessandro Sallusti, hanno partecipato: Franco Beretta, direttore generale degli istituti clinici di perfezionamento, Antonio Mobilia, direttore generale dell’ospedale San Carlo, Raffaele Pugliese, direttore del dipartimento chirurgico specialistico del Niguarda, Walter Locatelli, direttore generale dell’Asl Milano. E poi ancora, Ermanno Leo, direttore della struttura complessa di chirurgia del colon retto all’Istituto dei tumori, Nadia Di Muzio, responsabile di Radioterapia del San Raffaele, Carlo Lazzaro Solero, direttore della divisione di neurochirurgia del Besta, Cesare Fiorentini, direttore del dipartimento di cardiologia del Monzino, Carlo Agostoni, responsabile di Pediatria 2 alla clinica De Marchi.

 

Se è vero che fa più notizia la sanità che non funziona, noi ci siamo voluti soffermare su ciò che invece funziona. E su come, negli ultimi 15 anni, la politica e i medici hanno collaborato per fare in modo che l’ingranaggio fosse sempre più oliato. Per arrivare insomma a un sistema come quello di oggi in Lombardia, dove il paziente può scegliere in quale struttura curarsi a prescindere dalle sue possibilità economiche. Dove aspetta sempre meno per avere una diagnosi o un appuntamento per un controllo. Dove può contare su staff medici di alto livello e apparecchiature mediche nuove. Dove ha la certezza che la ricerca sulle malattie va avanti.

Tutto è perfettibile, ma la scommessa lombarda su una sanità a misura di paziente sembra seguire la direzione giusta. «Lo stesso presidente Usa Barack Obama - fa notare il condirettore del Giornale, Alessandro Sallusti che ha introdotto la mattinata di confronto - si sta giocando tutto sulla sanità». E anche in Lombardia la posta in gioco è alta, contando che oltre l’80 per cento del bilancio regionale è concentrato sotto la voce sanità.

I numeri La prova del nove, per dire se le scelte politiche sono giuste, si fa con tabelle e numeri: i bilanci in attivo hanno permesso di investire nella costruzione di 7 nuovi ospedali pubblici. Tra il 1999 e il 2008 i ricoveri sono stati più mirati e sono scesi da 2 milioni a 1,8 milioni, a fronte di un aumento della popolazione di 800mila abitanti. E ancora, dal 1995 al 2006 la spesa pro capite per le famiglie è cresciuta del 57 per cento, almeno dieci punti percentuali in meno rispetto alle altre regioni del centro nord. Anche la collaborazione tra ospedali ha funzionato, con il 10 per cento dei trasferimenti dei pazienti dalle strutture private a quelle pubbliche. Il successo del modello lombardo? «È la continuità di un disegno strategico» sostiene Franco Beretta, direttore generale degli Istituti clinici di perfezionamento.

I giovani «La continuità delle strategie - conferma il direttore generale dell’Asl di Milano Walter Locatelli - sta dando i suoi frutti ora». Un esempio: aver investito soldi nel 2005 per le borse di studio dei giovani ricercatori e dei medici in erba sta portando i suoi risultati adesso. «Per questo - sostiene Cesare Fiorentini, direttore del dipartimento di cardiologia del centro cardiologico Monzino - è importante insistere sulla qualità delle università, investire sui nostri giovani e creare un filo diretto tra atenei ed ospedali. Sono i giovani la linfa vitale per il nostro futuro». Tutti i medici e i direttori generali sono d’accordo su un punto: agevolare l’ingresso dei giovani in corsia, trasmettere sul campo le proprie conoscenze, specializzarsi ma saper creare una squadra con i colleghi degli altri reparti. Non dimentichiamo l’importanza dei cosiddetti ospedali di insegnamento - esorta Raffaele Pugliese, direttore del dipartimento chirurgico specialistico del Niguarda -. È così che si trasferisce l’esperienza».

L’emergenza Anche il tasso di mortalità è migliorato, a fronte di una riorganizzazione della rete di emergenza del 118: «Il numero delle morti è stato dimezzato - conferma Antonio Mobilia, direttore generale del San Carlo - e salvare anche solo l’uno per cento in più delle vite su nove milioni di persone non è poco. Questa è una delle punte di eccellenza della nostra sanità, assieme alla fusione dei dipartimenti oncologici di tutta la Lombardia».

Le liste di attesa Uno degli obiettivi delle strategie sanitarie della Lombardia è quello di abbattere i tempi di attesa per esami, controlli e interventi. È uno dei punti più critici degli ospedali, soprattutto i più grandi. Nel 2004, veniva effettuato entro i 60 giorni l’87 per cento delle prestazioni ambulatoriali. Ora siamo al 95 per cento. In cantiere la Regione ha un progetto per velocizzare ancora di più il sistema: un call center unico che gestirà le prenotazioni delle visite e metterà fine alle doppie prenotazioni negli ospedali. Doppie prenotazioni che non sempre si traducono in visite ma che rallentano la gestione delle code. Ovviamente le cure hanno bisogno di tempo. «Ma grazie a tanti strumenti innovativi che abbiamo nei nostri ospedali - spiega Nadia Di Muzio, responsabile di Radioterapia del San Raffaele - riusciamo a fare in modo che i trattamenti siano più brevi. Sveltire le procedure è importantissimo. Significa accorciare le liste di attesa e, a lungo termine, risparmiare». Vuol dire quindi che una buona gestione economica porta a migliorare le cure e i servizi.

I viaggi della speranza I pazienti arrivano da tutta Italia per farsi curare negli ospedali lombardi. Il 63 per cento parte da regioni non confinanti e il 37 per cento dalle regioni vicine di casa. I medici sperano in una sorta di «selezione» dei pazienti per dare più spazio ai casi più difficili. «Nel mio ospedale - spiega Ermanno Leo, direttore della struttura complessa di chirurgia del colon retto all’Istituto dei tumori - il 60 per cento dei ricoverati arriva da fuori regione. Se la percentuale fosse inferiore potremmo concentrarci sui casi più seri».

Le proposte Dal tavolo tra medici e direttori generali sono emerse varie proposte per migliorare il sistema sanitario. Ci si è chiesti ad esempio: per un’endovena serve davvero essere medici? Da qui l’invito al ministero a riflettere su un possibile ridisegno delle professionalità e su un eventuale potenziamento della figura degli infermieri specializzati. Questo vorrebbe dire che i medici potrebbero concentrarsi sui casi più acuti, su quelli più difficili.

I medici di base E poi ancora. Gli specialisti degli ospedali pubblici e di quelli privati, dal Besta al San Raffaele, chiedono di potenziare la collaborazione con i medici di base, che sono i primi a intercettare i bisogni del paziente e che hanno il difficile compito di dare il via al percorso delle cure. Sta a loro orientare chi scopre di essere malato e indirizzarlo alle strutture specialistiche. Già è stata messa in atto una rete sperimentale per migliorare la collaborazione e la Regione ha messo in campo la cosiddetta dote sanitaria, partendo dal presupposto che «non è più sufficiente curare ma bisogna anche prendersi cura del paziente». Inoltre bisognerà fare in modo che i medici di famiglia lavorino ancora di più sulla prevenzione, per arrivare a diagnosi sempre più precoci e quindi curabili. D’altro canto, ribadisce anche Locatelli dell’Asl, «il cittadino deve essere sempre più protagonista della sua salute.

Il nuovo ospedale Basta reparti a compartimenti stagni. La direzione giusta per garantire una sanità realmente di eccellenza è quella dei poli ospedalieri plurispecialistici integrati. Che lavorino in rete. In quest’ottica nascerà la Cittadella della salute, che riunirà Istituto dei tumori, neurologico Besta e ospedale Sacco. In generale si cercherà sempre di più di mandare il paziente nel luogo giusto perché riceva cure ad hoc. Altro passo in più da fare all’interno degli ospedali: «Perché non utilizzare i macchinari e le strumentazioni almeno per 18 ore al giorno?» propone Lazzaro Solero. Estendere gli orari garantirebbe più esami, meno attesa per i pazienti. E velocizzerebbe i tempi della sanità.

I pediatri Ad affrontare le problematiche del settore della pediatria è stato Carlo Agostoni, responsabile dell’unità operativa di pediatria 2 della clinica De Marchi.

Tra i problemi da risolvere ci sono la gestione del turn over tra medici e lo svuotamento dei reparti, soprattutto in periferia, di pediatria. Inoltre i pediatri saranno chiamati a un impegno importante: quello dei turni nel fine settimana e ogni sera fino alla mezzanotte.  

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