Viaggio tra chi snobba i cortei «È una protesta autolesionista»

Lo striscione bianco esposto sul portone di ingresso dell’università Statale di Milano parla chiaro: «Contro la legge Gelmini occupiamo l’università». L’invito si ripete all’interno dell’ateneo, sui muri e sulle bacheche letteralmente tappezzati di volantini firmati dai collettivi di sinistra. Ma è qui che si ferma. L’eco della protesta non penetra all’interno dei corridoi e delle aule. Delle biblioteche e delle mense. Questi spazi sono la roccaforte dei ragazzi che vogliono studiare. Che magari sono anche contrari alla riforma, ma mai negherebbero ad altri studenti come loro di seguire le lezioni.
Sono meno rumorosi i giovani contrari all’occupazione, ma decisamente più numerosi. Pensano che lo strumento migliore per far sentire la propria voce sia il dialogo. Non ne fanno una questione politica - la massa silenziosa è bipartisan, giovani di destra e di sinistra uniti dal desiderio di studiare in pace -, ma di rispetto per gli altri. Basta fare un giro fra i chiostri della Statale per capire che la mobilitazione portata all’eccesso qui interessa poco. Corridoi e aule sono gremiti. Gli scontri con la polizia e il blocco dei binari alla stazione Cadorna solo episodi spiacevoli dai quali prendere le distanze. «Questa riforma non ci convince - spiega Elisabetta, iscritta a Lettere -, ma non credo che occupare l’università possa risolvere la situazione. Io vorrei seguire le lezioni senza problemi». Concetto, questo, ribadito a ogni passo. «Sono contro questa protesta perché la considero uno strumento autolesionista - prosegue Maria, al secondo anno di Filosofia -. Tutti i ragazzi che conosco la pensano come me».
Fra i corridoi gira voce che l’occupazione sia vicina, solo questione di ore. «Credo sia assurdo negarci la libertà di entrare in aula - protesta Giovanni, iscritto a Filosofia e membro di StudentiStatale, gruppo di centrosinistra -. Giusto manifestare contro la riforma se non si è d’accordo, ma sarebbe più opportuno dialogare con i docenti e il rettore per trovare una soluzione. Anche perché molti professori la pensano come noi e ce lo ripetono durante le lezioni».
Arriva Paolo, che racconta di essere un anarchico. «Non aderirò all’occupazione - dice -. Non avrebbe senso e non servirebbe a nulla. Qui la pensano quasi tutti così. Anche perché chi organizza i picchetti all’università neanche è iscritto. Sono persone che arrivano da fuori, dai centri sociali».
Ne sono convinti anche i giovani del Popolo delle libertà, che all’esterno dell’ateneo hanno allestito un gazebo. «Vogliamo spiegare nel dettaglio questo decreto - afferma Marco Bestetti, studente di Giurisprudenza -. La maggior parte dei ragazzi non ha idea di cosa sia questa riforma. Protestano per emulazione. Molti hanno addirittura paura di prendere i nostri volantini. Evidentemente qualcuno sta cercando di creare un clima intimidatorio da Sessantotto. Ma il gruppo favorevole all’occupazione neanche si vede in giro. Evidentemente si tratta di persone esterne alla Statale». Gli fa eco Chiara Guarini: «La maggioranza silenziosa di questo ateneo è assolutamente contraria a questa protesta. Molti ragazzi, anche di estrema sinistra, si sono dissociati da quello che sta succedendo. Da parte nostra abbiamo deciso che se davvero ci sarà occupazione faremo di tutto per permettere ai nostri colleghi di entrare in aula e continuare a studiare».
Intorno al gazebo c’è fermento. Decine di giovani che si avvicinano, chiedono informazioni. Fra loro c’è Marta, area politica diversa ma stesse convinzioni: «A lezione continuiamo a ripetere che fermare la didattica è la cosa peggiore da fare.

Questa protesta è esagerata e, secondo me, anche frutto di scarsa informazione». «Certe frange estreme - conclude Dino Motti, senatore accademico di StudentiStatale - in passato hanno reso dannosa questa forma di protesta. Men che meno quella non frutto di una scelta partecipata e condivisa».

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