VINITALY

nostro inviato a Verona
Come sta il vino laziale? Abbastanza bene, grazie. Roba da sussurrare, in un Vinitaly avvilito dalle inchieste giornalistiche che tra contraffazioni chimiche e Brunelli al Montepulciano (e si badi bene, c’è molta differenza: nel primo caso ci rimette la salute, nel secondo solo il portafoglio e - al massimo - il palato) ha scoperchiato il lato B di uno dei vanti del made in Italy da gustare. Il Lazio, in questo polverone, non sembra coinvolto: e già questa rischia di essere una buona notizia, se non fosse che non c’è nessuno che in tutto ciò abbia davvero da guadagnare.
Il fatto è che qui a Verona, nella più grande fiera mondiale del vino, e poi tutti i giorni sulle nostre tavole, continueremo a tuffare il naso nel bicchiere e a cercare di bere bene spendendo il giusto. E qualche indicazione positiva arriva per la nostra regione. Che vanta 27 doc, una docg in arrivo (il Cesanese del Piglio) e 4 igt, 200 aziende, 20 cantine sociali, una produzione di 1,8 milione di ettolitri e un fatturato di 10 milioni di euro, ma ha spesso sofferto alla prova-qualità. Ottima nuova, quindi, il successo delle etichette laziali nel Concorso enologico che affianca la fiera: qui il Lazio si è aggiudicato una medaglia d’oro grazie alla cantina Sant’Andrea di Terracina, che con il Circeo doc bianco Dune ha sbancato la categoria Vini tranquilli a doc affinati in legno. Medaglia d’argento invece per il Moroello, Lazio Igt rosso prodotto dall’azienda Principe Pallavicini di Colonna, ai Castelli romani, premiato nella categoria Vini tranquilli igt con 4-6 anni dalla vendemmia. Completano il «medagliere» 24 Grandi menzioni, che portano il totale dei riconoscimenti a 26, 4 in più rispetto allo scorso anno. La più decorata è la provincia di Latina (13) seguita da Roma (9), Viterbo (3) e Frosinone (1). Un dato che è in linea con le indicazioni delle principali guide del settore, che dal 2006 al 2008 hanno registrato un aumento di circa il 20 per cento delle etichette segnalate e premiate. Ma ciò che più conta, forse, è il mercato.
I momenti più significativi all’interno del Palatium, il padiglione in cui l’Arsial ha concentrato tutti i produttori laziali, suddivisi per aree geografiche, sono stati due: il primo squisitamente enologico, l’altro in bilico tra vino e beneficenza. Parliamo della presentazione, avvenuta sabato mattina, del progetto «Wine for life», che vede il Lazio in prima fila nel sostenere la Comunità di Sant’Egidio attraverso un bollino che alcuni dei migliori produttori di tutta Italia acquistano al costo di 50 centesimi l’uno e poi applicano ad alcune delle loro bottiglie: chi acquista quella bottiglia con il bollino rosso-blu sa che quei soldi andranno alla lotta all’Aids in Africa. Un’occasione straordinaria perché il mondo del vino, spesso così autoreferenziale nel piangere dei suoi guai, si confronti con i problemi veri, quelli di chi non solo non ha vino ma nemmeno acqua o pane.

Secondo momento straordinario, la degustazione «verticale» che venerdì sera ha visto protagoniste dieci annate (1995-2005) di quello che è il più grande rosso laziale, il Mater Matuta di Casale del Giglio. Il modo migliore per annegare i dispiacere e «fa’ la vita meno amara».

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