Violante e Scalfaro: Tonino eversivo, il suo è reato L’ex presidente della Camera e l’ex capo dello Stato insorgono dopo gli slogan rivolti al Quirinale da piazza Farnese «Ha rapporti inquietanti con alcuni pm». E ancora: «Basta gettare fango sulle

RomaIl trattore è finito fuori strada. Trattandosi di mezzo anomalo, c’era da aspettarselo: Antonio Di Pietro giace oggi impantanato sull’orlo di un precipizio chiamato «eversione». La parabola dell’ex magistrato venuto dalla campagna con l’orgoglio di servire la giustizia potrebbe rovesciarsi (se non è già accaduto) nel suo contrario: servire il popolo, nel senso dei bassi istinti della società, per appagare il proprio, inesausto, istinto d’ambizione.
«Eversione», parola grossa e reato gravissimo. Evocata dall’ex presidente della Camera, Luciano Violante, fa un certo effetto. Ancora di più se supportata, come nel ragionamento di Violante, dal quadro che si va raccogliendo attorno al leader dell’Italia dei Valori. «Colpiscono alcuni intrecci allarmanti», spiega l’esponente del Pd in un’intervista al Messaggero. Il sodalizio con Beppe Grillo, per esempio, «che si è distinto anche lui per volgari insulti al Capo dello Stato». Ancor di più quello con Marco Travaglio, «leader della letteratura giudiziaria che si fonda sulla trascrizione di sentenze o atti giudiziari». Ma soprattutto allarmano gli «intrecci con alcuni Pm», aggiunge Violante, che avendo inquisito - a torto o a ragione - autorità politiche, «diventano eroi».
Perché preoccuparsi tanto di questo «populismo giustizialista», che pure è da sempre presente in settori marginali della società? L’ex presidente della Camera Pd vede in un atteggiamento del genere annidarsi il germe dell’irresponsabilità politica, perché tali istinti «vanno corretti non eccitati». Invece, al centro del sistema di relazioni dipietrista «c’è una campagna politica che sostiene una visione vendicativa della giustizia e inquisitoria della politica». Siamo a un passo dall’eversione, sostiene Violante, «se si aggiungesse un disegno politico di screditamento di tutte le istituzioni della Repubblica».
Meno politico, più legato al quadro normativo vigente, lo scenario sostanzialmente simile tracciato dal presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, in un’intervista al Corsera. Nella quale non esita a definire «reato» quanto detto da Di Pietro all’indirizzo del Capo dello Stato. «Se le parole sono quelle diffuse da radio e televisione, è certamente un comportamento illecito», afferma Scalfaro. Siamo cioè già al vilipendio delle istituzioni. Quanto detto da Di Pietro «stavolta non si può decentemente contrabbandare come un normale capitolo del dibattito politico», aggiunge l’ex Capo dello Stato, che esorta a «non lasciar passare nell’indifferenza sortite di questo genere: davanti a queste forme gravi di abuso, la democrazia si spegne».
Il panorama diventa ancora più fosco se l’attacco al Quirinale viene inquadrato nel momento difficile vissuto dalla giustizia e dagli scontri tra Procure. Parla «da uomo che ha indossato la toga», l’ex presidente. E sostiene addirittura che «quando i magistrati si servono del loro ruolo e potere per iniziative personali, allora siamo alla guerra civile. Letteralmente. In casi come questi la soluzione è soltanto una: intimare loro di andarsene a casa. Per quanti meriti possano vantare lungo carriere magari decennali, il loro compito è uscire di scena». Si rivolge ai magistrati impegnati in faide, strumento di logiche oscure.

Ma non è difficile applicare lo schema a chi ha condotto per anni l’inchiesta che ha rovesciato la prima Repubblica come un guanto. E che forse, nel proprio intimo, sogna di poter indossare i «guanti di ferro» di una terza o quarta Repubblica.

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