"Voci opache a bilancio" Ecco perché il partito non poteva non sapere

Già nel 2003 Parisi chiedeva spiegazioni sulla contabilità interna, ma l’ex segretario Rutelli sembra venire da un altro pianeta. Dubbi sui finanziamenti a Franceschini

"Voci opache a bilancio"  Ecco perché il partito  non poteva non sapere

Il senatore Francesco Rutelli, già leader della Margherita, giustamente si indigna per l’operato truffaldino del suo ex fedelissimo Luigi Lusi. Anzi s’incazza proprio, per usare una sua elegante espressione. E si costituisce parte offesa. Ma non spiega alcune cose: perché nonostante le reiterate lamentele «contabili» di ex colleghi non si è mai interrogato sui comportamenti quantomeno ambigui del suo fidato tesoriere?

Perché non è intervenuto e non si è dissociato, pubblicamente, per i ripetuti «no» di Lusi alle richieste degli ex Margherita di presa visione e copia dei bilanci? Perché in quell’infuocata assemblea federale del 20 giugno 2011 dedicata ai destini del tesoretto da 20 milioni di euro, lui che era tra i pochi presenti, non ha sentito il bisogno di ragionare su quel che denunciava Arturo Parisi (e Pierluigi Castagnetti) circa l’incredibile ostinazione di Lusi a tenere i conti nascosti? Perché poi non si è domandato se tante volte avesse un minimo di fondamento l’istanza al tribunale civile di Roma presentata a luglio 2011 (un mese dopo la nota assemblea) dagli ex amici Carra, Lusetti, Nuccio e Piscitello dove si parlava di trucchetti per farli fuori dai controlli?

Che la storia puzzi ne è convintissimo proprio Lusetti: «È da tre anni che non ci è consentito di vedere i bilanci e, conseguentemente, di approvarli. È una storia strana – dice al Tempo - vabbè che Lusi gestiva con abbondante autonomia i bilanci, ma c’è un revisore dei conti, un comitato di tesoreria politico, composto da tante persone. Troppi soldi, la cosa non si spiega. Lusi è riuscito a bypassare troppi controlli (...) e nessuno si è mai accorto di nulla? Mi pare strano». Se esiste una responsabilità del tesoriere, che responsabilità ha chi doveva vigilare sui rendiconti e approvare i bilanci?

I responsabili del comitato di tesoreria, Giuseppe Vaccaro (vicino a Letta), Giampiero Bocci (area Fioroni) e Ivano Strizzolo (fedele a Marini) rimandano al collegio dei revisori dei conti. «Il nostro è solo un organo politico – osserva Strizzolo - sono i consulenti esterni, esperti in materia, ad aver avallato la regolarità dei bilanci. I nomi? Ora non me li ricordo». Glielo ricordiamo noi: Giovanni Castellani, Mauro Cicchelli e Gaetano Troina.

Politicamente nessuno si è mai confrontato con Parisi che già nel 2003 chiedeva spiegazioni. «All’assemblea di giugno 2011 chiesi un approfondimento del bilancio perché c’erano voci opache e ampie. Non votai il bilancio preventivo e l’assemblea fu sospesa finché non si decise la formazione di un organismo che approfondisse successivamente». Organismo che non si è mai più riunito. Il bilancio cartaceo venne messo a disposizione dei presenti dopo incredibili insistenze ma l’atto fu fatto solo visionare in loco. Nessuna fotocopia fu distribuita.
Ma c’è di più. Nel processo civile in corso a Roma, Lusetti, Carra & co si lamentano del fatto che l’associazione-partito studiò un escamotage per farli fuori dai controlli evitando di recapitare loro un formale invito per la partecipazione all’assemblea, che stando alle cronache di quei giorni registrò una presenza a dir poco minima degli aventi diritto: una ventina di fortunati a fronte dei 398 previsti per statuto.

Perché? Una spia la accende, a poche ore dall’assemblea di giugno, il responsabile Esteri dell’allora Margherita, Luciano Neri, contrario alla spartizione dei soldi attraverso una distribuzione lottizzata in aree e correnti. «Una situazione a dir poco anomala. A decidere sui soldi rischiano di essere poco più di dieci persone, decide chi ha la maggioranza in assemblea». Sempre Neri, a cose fatte, aggiungerà: «In assemblea chiesi di avere il bilancio ma Lusi si oppose, si inalberò, minacciò le dimissioni perché non ci fidavamo di lui. Alla fine fu possibile leggere una copia del bilancio messa a disposizione di tutti, ma per un tempo limitato, che rendeva impossibile un’analisi seria».

Nel ricostruire la strada dei soldi della Margherita gli inquirenti non escludono di verificare quanto trapelato sulla stampa e sulle agenzie relativamente alla presunta dazione di denaro, girata da Lusi a Dario Franceschini, per contrastare l’ex diessino Bersani nelle corsa alle primarie Pd. In quel frangente proprio Franceschini si era lamentato dello strapotere economico del suo concorrente. Di quei soldi si accorge Parisi in assemblea. Legge il rendiconto ma non capisce cosa voglia dire quella voce di bilancio «attività politica, 4 milioni di euro».

Chiede spiegazioni a Lusi, che risponde: «Sono per Franceschini, per le primarie con Bersani, rappresentano il nostro contributo al candidato che veniva dalla Margherita». Parisi, a quel punto, avrebbe perso le staffe. «Ma come? Il tetto di spesa prescritto dal regolamento interno del Pd, era di 250mila euro!».

E proprio a 250mila euro fa riferimento Ettore Rosato, responsabile del comitato per la campagna delle primarie di Franceschini, che ieri ha smentito cifre e circostanze oggetto della confidenza di Lusi a Parisi: «Il costo è stato di 249mila euro, rispettoso del tetto stabilito dal regolamento di disciplina della campagna congressuale.

Le entrate sono il frutto dei contributi volontari di singoli parlamentari e cittadini». Dunque. Fino a prova contraria, eccetto Lusi, nessuno sapeva. Rutelli non sapeva. O come dice Storace, come al solito poteva non sapere.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica