Yara come la Beata Pierina: per Brembate è già santa

È morta per resistere al suo orco come la Morosini, uccisa più di 50 anni fa E nel sentimento del paese la piccola martire è già su un altare immaginario

nostro inviato a Brembate di Sopra (Bergamo)

Nessuno grida «Yara santa subito». Non è il caso. Ma il sentimento generale, sotterraneo e intimo, è più forte del grido. Da quando l’hanno ritrovata nello squallore di un campo abbandonato, il fiume in piena della preghiera e della pietà ha innalzato la piccola martire su un altare immaginario. L’aveva detto subito il parroco, don Corinno, chiamato a comunicare la pesante notizia durante la messa prefestiva di sabato: «Da oggi Brembate ha una piccola santa, che proteggerà tutti noi dall’alto».
Col passare delle ore, la giovane vittima di tanto scempio si è ritrovata destinataria di mille attenzioni e di mille invocazioni. Sul libro delle riflessioni, esposto in chiesa, è un proliferare di messaggi diretti: Yara proteggici, Yara adesso pensa alla tua famiglia, Yara consolaci. Fuori, all’entrata del tempio, la sua foto più recente con una scritta lapidaria: «Yara aiutaci, siamo smarriti».
Nel fenomeno non c’è nulla che sappia di superstizione o di isteria collettiva. È il flusso naturale dello smarrimento che sfocia nella compassione e nella speranza. Svuotata e confusa, la gente porta fiori sul cancello di casa. Come pellegrini composti, in tanti ereggono una specie di altarino nella zona del ritrovamento, a Chignolo d’Isola. Alla riapertura della scuola, le stesse compagne della 3° C, Istituto Orsoline di Somasca, depongono un mazzo di fiori sul banco vuoto di Yara. Sui diari, nei temi, nei dialoghi di un’intera mattinata con insegnanti e psicologi, sempre la stessa idea tenera e velata di trascendenza: Yara ci guarda dall’alto, Yara sarà sempre con noi e ci proteggerà. Ancora: la fiaccolata di ieri sera per le vie di Brembate, la messa dei compagni di scuola nella parrocchiale di Loreto, in città, con cartelloni e lettura di pensieri: cos’altro è, tutto questo, se non uno spontaneo e sincero processo di beatificazione popolare?
È inutile che i cinici cerchino i risvolti di una perversione mistica, in queste processioni dell’animo. Magari Yara non avrà i requisiti ufficiali per finire sui calendari, per avere basiliche e santuari, ma certamente ha tutti i requisiti della santità vera e vissuta. Non ci sono miracoli a carico, ma c’è il candore assoluto. Non ci sono le opere di una vita intera, ma c’è il sacrificio estremo e il martirio crudele. Soprattutto: è un sentire comune che questa tredicenne fosse ancora innocente, pura, semplice. Comunque, non quel genere di tredicenni che ormai sempre più di frequente s’incontrano a notte fonda, con le testa affollata di idee tossiche, con compagnie troppo grandi per l’età. Yara viveva di casa, scuola, parrocchia e sport. Yara appendeva i manifesti di Jhonny Depp e di Laura Pausini. Yara esprimeva ancora rossori guardando i primi ragazzini. Yara aveva un unico, grande sogno: diventare campionessa di ginnastica…
Improvviso, il calvario. Presa una sera d’inverno, portata nella desolazione di cantieri e capannoni, orridamente aggredita, spietatamente giustiziata. In questa terra bergamasca, è naturale collocarla nel solco delle eroiche ragazze sacrificate al cieco furore del maschio. Non è il caso di arrivare fino a Latina, da Maria Goretti. A quindici chilometri in linea d’aria da Brembate, Bergamo venera un’altra martire della stessa mattanza: la beata Pierina Morosini. La sua storia è risaputa, in zona. Operaia, figlia di contadini poverissimi, scendeva tutti i giorni da Fiobbio verso Albino, all’imbocco della valle Seriana, per lavorare in una tessitura. Aveva 26 anni. Il 6 aprile 1957, mentre camminava sul sentiero di casa, incontrò il suo carnefice. Cercò di difendersi, riuscì a negarsi, ma quello la finì a colpi di pietra in testa. Coincidenza particolare: esattamente dieci anni prima, nel ’47, aveva compiuto l’unico viaggio fuori provincia per partecipare alla beatificazione di Maria Goretti. A lei lo stesso onore toccò nell’87, firmato da papa Wojtyla.
Pierina e Yara, come non avvicinarle nella memoria. Stessa esistenza virtuosa e immacolata, stessa fine orrenda. Anche Yara è il candore svilito e martoriato. Anche Yara è l’innocenza umiliata. Anche Yara ha difeso la sua pulizia lottando contro un sudicio boia. In un’altra epoca, in un’altra Italia, forse sarebbe già in lista per le più alte consacrazioni. Ovviamente, non oggi. Nessuno lo chiede, nessuno lo immagina. Ma in queste veglie al lume di candela, in queste messe giovanili, in questi biglietti accorati, in questi mazzi di fiori e in queste invocazioni spirituali d’aiuto e di protezione, tutto sa di elezione spontanea e popolare al soglio più alto.

Personalmente non ho dimestichezza con titoli e gerarchie del ramo celeste, però mi sento di azzardare un’ipotesi. Yara non sarà santa: né subito, né mai. Ma già da adesso è un nuovo angelo, il più acclamato dalla sua gente.

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