Case per gli invalidi ai furbetti edili della coop rossa

Lo strano caso di via Magolfa: i 22 appartamenti costruiti per essere affittati a canone agevolato a senzatetto e sfrattati sono finiti a una società legata a doppio filo ai costruttori della Cmb, gigante della sinistra. Solo tre affittati a bisognosi

Case per gli invalidi 
ai furbetti edili 
della coop rossa

Diciannove appartamenti sono una goccia nel mare della fame di casa che c’è a Milano. In una città dove decine di migliaia di giovani coppie, di famiglie in difficoltà, di single, di studenti si scontrano con dei prezzi immobiliari impraticabili, cosa saranno mai diciannove appartamenti? Resta il fatto che quegli appartamenti c’erano, ci dovevano essere. Dovevano venire affittati a prezzo modico a gente in stato di necessità. Per diciannove persone, dovevano essere un’ancora di salvezza. E invece, come nel gioco delle tre carte, sono spariti sotto il naso di tutti. A farli sparire, curiosamente, è stata una cooperativa rossa: la Cmb (Cooperativa muratori e braccianti) di Carpi, un gigante dell’edilizia, storico braccio nel cemento armato della Lega delle Coop. É una storia che merita di essere raccontata perché è una storia istruttiva. Se la strada dell’edilizia convenzionata è il rimedio che il Comune ha in mente di offrire nel prossimo decennio alla crisi degli alloggi, beh, la brutta storia di via Magolfa insegna che truccare le carte è dannatamente facile.
Via Magolfa è la prima traversa a destra dell’alzaia Naviglio Pavese. Siamo a pochi metri dalla Darsena, in uno dei punti più affascinanti della vecchia Milano. Qui nel 2006 la Cmb aveva ottenuto la possibilità di costruire un piccolo quartiere. Belle case, prezzi alti. In cambio dell’okay del Comune si era impegnata a affittare a prezzi calmierati ventidue appartamenti. L’accordo tra Cmb e Comune indicava anche i destinatari: sfrattati, handicappati, pensionati, giovani coppie. Tutto bene? In teoria sì. Peccato che il 27 marzo scorso un articolo sulle pagine milanesi di Repubblica racconti una storia un po’ diversa. Per ottenere in affitto una delle case di via Magolfa, racconta il giornalista, bisogna pagare una tangente. Diecimila euro per ottenere un bilocale. Quindicimila euro per una stanza in più. «Così fanno tutti», si sente dire in via Magolfa il giornalista che si finge interessato all’acquisto.
Apriti cielo. La Cmb minaccia querele. Non fornisce dichiarazioni pubbliche. Ma è costretta a rispondere alle richieste di chiarimento che arrivano dal Comune, dalla Direzione centrale sviluppo del territorio. Il Giornale è entrato in possesso di quelle lettere. E si scopre che la situazione è, se possibile, ancora più singolare. Si scopre che dei ventidue alloggi destinati a «soggetti deboli», in realtà ne sono rimasti disponibili solo tre. Gli altri diciannove sono stati venduti agli «amici degli amici». La Cmb li ha ceduti ad una società controllata da gente che lavora per lei. E la società li ha rivenduti. Tra gli acquirenti, risultano esserci i soci della medesima società. Che, in pratica, hanno venduto a se stessi le case che dovevano andare ai senzatetto e agli invalidi.
Ecco le carte. Il 12 aprile la Cmb scrive al Comune ammettendo che sui ventidue appartamenti esisteva il vincolo per l’affitto a canone sociale. Ma spiega di avere venduto tutti i 22 appartamenti, prima ancora che finissero di venire costruiti e prima di ottenere il nulla osta del Comune, alla società Emmemme srl. La Cmb dimentica di dire che la Emmemme è legata a lei a filo doppio. Il suo amministratore, Massimo Camporeale, è infatti l'amministratore anche della Promea Infoservice, la società che ha sede proprio in via Magolfa e che si occupa di vendere l’intero quartiere; della Promea Infoservice, la Cmb controlla il 25 per cento del capitale sociale.
A dover rispettare l’obbligo di affittare i ventidue alloggi, dice la Cmb al Comune, a questo punto non siamo più noi ma Emmemme. Peccato che lo stesso giorno anche l’amministratore unico di Emmemme, il signor Camporeale, scriva al Comune spiegando che dei ventidue appartamenti ne restano solo tre. Gli altri diciannove sono stati venduti. Ma non dovevano essere affittati ai poveri? Certo, ma saranno i nuovi acquirenti a dover rispettare l’obbligo. E qui la cosa si fa grottesca: davvero è pensabile che un privato cittadino spenda molte centinaia di migliaia di euro per comprare un alloggio e poi dover affittarlo ad equo canone ad uno sfrattato?
Ma la sorpresa vera arriva leggendo l’elenco dei signori ai quali Emmemme ha venduto le case di via Magolfa. Tra i fortunati, c’è un signore che si chiama Ermes Pezzani; e ce n’è un altro doppiamente fortunato, visto che di appartamenti ha potuto comprarsene due, che si chiama Mario Ambrosini. Coincidenza: sia Pezzani che Ambrosini sono soci della Emmemme, di cui detengono ciascuno il 25% delle quote (il resto è in mano a Camporeale e, come si è detto, alla Cmb). Ma questo dettaglio al Comune non viene riferito.
Certo, ci si può consolare con i tre appartamenti (su ventidue!) rimasti da affittare ai bisognosi. Due sono effettivamente andati a destinazione.

Il terzo, scrive la Emmemme, doveva andare al signor Amodeo Camporeale, che purtroppo è deceduto nel frattempo. Lasciando un dubbio: visto che anche l’amministratore unico della Eemmemme si chiama Camporeale, si trattava soltanto di un caso di omonimia?

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