Crolla il bluff dell’accusatore di Ottaviano Del Turco

Processo per bancarotta al re delle cliniche Angelini: altro che mazzette ai politici, comprava quadri preziosi per sé

Crolla il bluff dell’accusatore  di Ottaviano Del Turco

nostro inviato a Chieti

Ennesimo atto, forse decisivo, per l’inchiesta-farsa su Ottaviano Del Turco. Il grande accusatore dell’ex governatore abruzzese è stato infatti rinviato a giudizio dal gup Di Geronimo per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. Alla sbarra per il crac da 220 milioni di euro del suo gruppo Villa Pini, il ras delle cliniche private Vincenzo Angelini è finito a Chieti, non certo a Pescara dove l’imprenditore gola profonda gode di un credito illimitato sin dai tempi delle prime indagini sulla giunta Del Turco quando i carabinieri chiesero (invano) il suo arresto con la Banca d'Italia impegnata a segnalare operazioni a dir poco spericolate.

Gli inquirenti teatini sembrano essersi fatti un’idea completamente diversa sull’uomo che a Pescara viene creduto sulla parola per aver raccontato dei soldi a Del Turco e compagnia di giunta, soldi mai trovati negli accertamenti patrimoniali e bancari e nelle centinaia di rogatorie oltreconfine. Angelini, allo stato, non solo finisce a processo per una bancarotta disastrosa ma adesso rischia di veder intaccata la sua credibilità rispetto a quanto messo a verbale sulla Tangentopoli nella sanità.

E questo per tanti motivi. A cominciare dall’allegrissima gestione dei soldi da parte dello stesso Angelini, a questo punto non necessariamente riconducibile ai prelievi per i politici. Il sospetto del Grande Imbroglio cresce rispetto alla scoperta dei premi in nero conferiti da Angelini a primari e impiegati delle cliniche, agli acquisti di opere d’arte, alla mania per gli acquisti che lo stesso ammise in un interrogatorio boomerang a Pescara dove confessò di aver comprato un dipinto del Tiziano coi quattrini del Gruppo: «Lo sanno tutti, anche in Tibet, che ho le mani bucate».
Le perizie confermano.

Nella consulenza Consentino si legge: «Dalle verifiche nei conti correnti personali di Angelini 2004/2009 emerge che il denaro distratto dal Gruppo Novafin/Villa Pini transitato sui conti del medesimo è stato utilizzato per finalità che esulano da scopi sociali essendo stati adoperati per spese di carattere individualistico e, non raramente, voluttuario». Il dubbio che le cose non stiano come le racconta Angelini a Pescara, cresce leggendo le parole di un certo Gianluca Zelli, già direttore generale del gruppo privato, interrogato come testimone a Chieti (mentre a Pescara Zelli si ritrova a processo perché accusato dal suo ex datore di lavoro di aver nascosto 21 milioni di euro con finte sponsorizzazioni). Cosa dice di così sconvolgente il più stretto collaboratore di Angelini?

Leggete qua: «Angelini era solito spendere denaro in grande quantità per spese voluttuarie come per esempio l’acquisto di un grosso quantitativo di cappelli in un negozio di Roma o l’acquisto di opere d’arte su catalogo della casa d'asta Semenzato di Venezia. L’Angelini viaggiava sempre con una grossa quantità di contante tanto che (…) si erano lamentati dal rischio dei continui prelievi di somme ingenti di denaro (...). Ricordo che quando partiva per Roma o altre località per vacanze non portava meno di 200mila euro o 300mila euro in contanti (...).

Una volta a Cortina, credo per l'acquisto di un gioiello da 350mila euro, fece aprire di domenica una filiale della banca...». Per i pm di Chieti Angelini avrebbe non solo prelevato dai conti correnti della sua società oltre 60 milioni di euro facendo passare l'operazione finanziaria come una cessione alla Novafin capogruppo, ma nel falsificare le scritture contabili sarebbe riuscito a ottenere 25 milioni di euro di finanziamenti per lo sviluppo delle attività dell’azienda «quando in realtà il denaro veniva investito per scopi personali».

Nell’impugnare in Cassazione la decisione del Riesame di scarcerare Angelini, la pubblica accusa aveva rimarcato come l’imprenditore riusciva a spendere, in un mese, anche un milione e mezzo (in un giorno 40mila euro di sigari).

Posto che non esiste alcun riscontro sulle mazzette ai politici, perché i pm di Pescara hanno evitato ostinatamente di chiedersi ciò a cui i colleghi di Chieti sono riusciti a darsi anche una mezza risposta, e cioè se tante volte, Angelini, avesse millantato il ricorso alle tangenti per nascondere lo shopping compulsivo concausa della bancarotta?

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