Così la Liguria rossa copre l'azienda tossica dell'Ingegner De Benedetti

Enti locali, sindacati, ambientalisti: De Benedetti, socio della centrale di Vado Ligure, gode di ampie coperture. Anche se il caso è simile all'Ilva, nell'inchiesta nessuna svolta

Così la Liguria rossa copre l'azienda tossica dell'Ingegner De Benedetti

Leggi il testo della sentenza del Tribunale di Milano n 8289/2017 che ha giudicato diffamatorio il presente articolo

Era il 1985, e Carlo De Benedetti acquisì in saldo il gruppo Sme dall'Iri prodiana in fase di privatizzazioni. L'operazione poi saltò, ma è un'altra storia. Nel 2002 è andata molto meglio all'Ingegnere con la liberalizzazione dell'energia. Perché è così che l'editore di Repubblica e l'Espresso ha consolidato la presenza nel settore: comprando alcuni impianti dall'Enel (cioè dal Tesoro) in base alle «lenzuolate» del ministro Pier Luigi Bersani. Tra queste centrali c'era quella di Vado Ligure, contestatissima perché alimentata a carbone. Come l'acciaieria Ilva di Taranto. Secondo i periti della procura della Repubblica di Savona, la centrale di Vado inquina e uccide. Le indagini procedono con grande prudenza senza i clamorosi provvedimenti di Taranto.

Amicizie e buone coperture accompagnano il tesserato numero 1 del Partito democratico in questa avventura imprenditoriale. A partire dai sindacati, preoccupati per i posti di lavoro. Legambiente ha il 10 per cento di Sorgenia MenoWatt, società della galassia debenedettiana. E poi gli enti locali: mentre le altre due centrali termoelettriche a carbone liguri (a Genova e La Spezia) faticano a ottenere permessi per ampliamenti e ristrutturazioni, quella di Vado ha avuto i via libera richiesti. Dei quattro gruppi produttivi, i due che vanno a carbone non sono ancora stati riconvertiti. Tirreno Power, società proprietaria dell'impianto (De Benedetti ne controlla il 50 per cento), promette interventi per abbattere le emissioni delle due ciminiere.

Oggi Tirreno Power è attenta a non coinvolgere De Benedetti nella propria attività. Ogni volta che si cita l'impianto di Vado e le indagini della magistratura savonese, piovono le precisazioni: l'Ingegnere è un semplice azionista di minoranza attraverso la società Sorgenia (gruppo Cir). Non andò così nel 2002, ai tempi dell'acquisizione dall'Enel. «Interpower al gruppo Cir», titolava Repubblica attribuendo il successo alla «cordata messa a punto dalla Cir» e in particolare «ai rapporti personali tra Carlo De Benedetti e Gerard Mestrallet, numero uno della Suez».

Come andarono le cose? Per liberalizzare il mercato dell'energia, Bersani impose a Enel di non produrre più del 50 per cento dell'elettricità italiana. La società guidata da Piero Gnudi mise dunque sul mercato una capacità pari a 15 gigawatt divisa in tre Genco (Generation company). La Genco 1 chiamata Eurogen (7 gw) andò a Edipower e la seconda, Elettrogen, agli spagnoli di Endesa (5,5 gw). Alla gara per la terza Genco, Interpower (2,611 gw), furono presentate 19 manifestazioni di interesse da ogni parte del mondo ridotte a quattro offerte non vincolanti. Ma al dunque, giunse una sola offerta vincolante: quella della cordata Cir.

L'Enel voleva un miliardo di euro, valore calcolato dall'advisor Mediobanca. De Benedetti offrì poco più di 800 milioni. Enel e governo (allora guidato da Silvio Berlusconi) chiesero un rilancio. I tempi giocavano a favore dell'Ingegnere, perché il decreto Bersani imponeva alla cessione una scadenza che si avvicinava. Enel avrebbe potuto azzerare la gara e chiedere un altro anno di tempo, come previsto in caso di offerta considerata non congrua. Ma Antitrust e Authority dell'energia non erano favorevoli. Alla fine il prezzo fu di 874 milioni, compresi 323 di debiti accollati. La cifra corrisponde a circa 336 milioni di euro per gigawatt. Enel incassò complessivamente 8,3 miliardi dalla cessione di 15 gw: all'incirca 550 milioni per gw. Significa che, per rilevare la Genco 3, De Benedetti ha sborsato in proporzione molto meno delle cordate per Genco 1 e 2.

L'Ingegnere agiva attraverso la società Energia, di cui controllava il 74 per cento.

I suoi partner nell'operazione furono Acea, municipalizzata del comune di Roma (allora il sindaco era Walter Veltroni) e i belgi di Electrabel (gruppo Suez), vecchi avversari quando l'Ingegnere tentò la scalata alla Société Générale de Belgique: Mestrallet ne era il presidente. Ma i due nel frattempo erano diventati buoni amici grazie alla comune frequentazione dell'Ert (European round table), associazione che riunisce i maggiori manager europei.

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