«Al San Raffaele c’è chi continua a rubare»

«Al San Raffaele c’è chi continua a rubare»

MilanoQuei terreni, accanto al San Raffaele, li voleva a tutti i costi. «Don Verzè mi disse espressamente: “Devi fare in modo di levargli luce, acqua e gas, in modo da impedirgli definitivamente di lavorare”». Il 14 febbraio scorso, un dipendente di via Olgettina parla ai pm milanesi. Racconta del desiderio diventato ossessione per quei campi dati in affitto dalla Fondazione Monte Tabor, su cui era sorto un centro sportivo, e che l’ospedale voleva indietro per iniziare una nuova avventura immobiliare. Un’ossessione che avrebbe portato don Verzè - scomparso nel dicembre scorso a 91 anni - a commissionare una campagna di intimidazione contro il titolare della società che gestiva l’area. Tre anni di sabotaggi e due incendi. Nel primo, il 10 aprile del 2004, vanno a fuoco gli spogliatoi del centro. Nel secondo, il 30 maggio del 2006, vengono dati alle fiamme gli uffici. Attentati per i quali va in carcere (con l’accusa di tentata estorsione e incendio in concorso con don Verzè) Danilo Donati, la guardia del corpo del fondatore del San Raffaele, l’uomo che il 18 luglio 2011 trovò per primo il cadavere di Mario Cal, il numero due di via Olgettinae che si tolse la vita con un colpo di pistola. Ma altre due persone vengono arrestate dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Milano. Si tratta di Vito Cirillo e Francesco Pinto, membri della sicurezza interna all’ospedale, entrambi con precedenti penali, che il 13 luglio avrebbero sottratto dalla cassaforte del San Raffaele 930mila euro, tra contanti e assegni. Respinta invece la richiesta di arresto per Andrea Roma, ex capo dell’ufficio tecnico dell’ospedale.
Un altro colpo all’immagine della prestigiosa struttura milanese, già travolta da un crac da un miliardo e mezzo di euro. Perché il gip Vincenzo Tutinelli fa esplicito riferimento sia alla «violenta campagna» avviata da don Verzè contro l’amministratore della società che gestiva il centro sportivo sui terreni della Fondazione, sia al fatto che al San Raffaele «c’è ancora chi ruba dove può rubare». Il riferimento è a Cirillo, che «ancora di recente si è intromesso nell’acquisto di beni già appartenenti alla Fondazione» (una Mercedes in uso a Cal e intestata alla Monte Tabor, che nel 2011 Cirillo fece sua), e che assieme a Pinto avrebbe pianificato il «grande colpo». Prima chiedendo alla Mondialpol - incaricata di prelevare quotidianamente il denaro dalle casse dell’ospedale - di ritardare di due settimane il passaggio in via Olgettina, così da «ingrassare» i depositi. Poi disattivando l’impianto di videosorveglianza. Infine svuotando la cassaforte. Cirillo, inoltre, sarebbe stato a libro paga di Giancluca e Pierino Zammarchi (i costruttori finiti nell’inchiesta sulla bancarotta del San Raffaele) dai quali avrebbe ricevuto in nero 100mila euro dal 2009 al 2011, con «un giro di false fatturazioni e con terzi contraenti tutto da capire».
Ma colpisce anche l’ostinazione con cui don Verzè puntava ai terreni del centro sportivo, gestiti dalla Olimpia srl di Andrea Lomazzi. «Don Verzè mi disse che “Il giudice sono io e decido io”», racconta Lomazzi ai pm che gli chiedono dei suoi rapporti con il San Raffaele.

Dalle telefonate - inspiegabilmente rimaste chiuse nei cassetti della Procura per anni - il fondatore dell’ospedale discuteva di come «convincere» Lomazzi a cedere l’area, chiedendo al generale Niccolò Pollari (all’epoca capo del Sismi) di inviare le Fiamme gialle a ispezionare il centro perché «questo dobbiamo cacciarlo», o domandando ad Andrea Roma se non fosse il caso di «bruciare anche i padiglioni». «Quello mi sembra un po’ eccessivo», risponde l’ex capo dell’ufficio tecnico del San Raffaele. Un mese più tardi, andranno in fumo gli uffici della Olimpia.

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