Marco Pantani e quella folle fuga di 50km al Tour de France '98

Sul Galibier, nel 1998, il Pirata ribaltò un verdetto già scritto con una sortita coraggiosa e indomabile: Jan Ullrich si prese 9 minuti di distacco

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Non si sono mai frequentati prima, lui e questo mostruoso valico alpino. Oggi il Galibier lo scalfisce pure una pioggia insistente e inerpicarsi per 18 km fino in cima, a 2645 metri, è una missione ancora più ruvida. Fuori sarebbe il 27 luglio del 1998, ma non sembra. Tour de France, quindicesima tappa: Grenoble-Les Deux Alpes, un dedalo di tornanti al cianuro per i polpacci già consumati della carovana. Se poi ci aggiungi che la corsa la conduce uno che pare un cyborg, ovvero Jan Ullrich, verrebbe quasi da chiedersi chi te lo fa fare, di spremerti. Eppure certe imprese nascono proprio dalla disperazione sportiva. E ricordarle adesso, con un nuovo Tour appena partito, fa ancora più bene al cuore.

Marco Pantani sa che alla partenza ha 3’01” di distanza dall'invulnerabile rivale, ma è determinato a non cedere allo sconforto. Questa può essere la tappa che gli succhia via tutte le ultime energie, oppure la corsia preferenziale per un impensabile riscatto. Ha appena vinto il Giro e si è pure preso la soddisfazione di un successo intermedio, quaggiù. La pancia potrebbe dunque essere prossima alla saturazione, se uno fosse un tizio normale. Lui però pedala fuori da questi perimetri.

Anche se è la prima volta che tenta di domare l'infido colle francese, si è studiato il tracciato approfonditamente. Ne conosce le pieghe e le sfumature. Sa che il tratto più ripido lo attende negli ultimi 10 km, quando la pendenza si rifiuta categoricamente di scendere sotto l'8-9%. All'avvio stringe forte l'impugantura del manubrio e, dietro le lenti della sua icononica montatura giallo fosforescente, raccoglie le energie mentali necessarie. Per disarcionare Ullrich e assurgere al grado di nuovo chansonnier del Tour servirebbe una prestazione memorabile.

I casi sono due, come molto spesso accade nella vita. Potrebbe decidere di rimanere in scia, aggrappato al gruppo di testa fino all'ultimo e più ripido tratto, quello dove esplodere tutte le energie contenute in corpo, in piedi sui pedali, verso la gloria. Oppure, ma è più rischioso, partire in fuga solitaria da molto lontano, prendendo alla sprovvista il sovrano feudale venuto da Rostock: scegliendo questa opzione potrebbe scoppiare nel bel mezzo del tentativo. Se c'è qualche dubbio sulla strategia che adotterà, viene quasi subito fugato. Marco non flirta con le mezze misure. Se vuole una cosa, sceglie di andare a prendersela.

Parte così una surreale fuga lunga 50 km, il corpo fradicio di sudore e pioggia, la faccia tappezzata di stupore del gruppo che lo vede staccarsi così presto, lo sdegno di Ullrich che pensava di essere inscalfibile, e invece gli tocca pedalare più forte. Nessuno però tiene il passo del pirata. Nemmeno Jan, che accumula a sopresa un penoso ritardo. Pantani sale sui pedali tra l'incredulità dei commentatori televisivi, che subito manifestano le loro perplessità, paventando il rischio che possa sgonfiarsi nel bel mezzo del tentativo, che il suo sia un atto di tracotanza ciclistica che è destinato a pagare duramente.

Invece Marco parte e non si ferma più. Arriva fino in fondo, trionfando con circa un minuto e mezzo su Massi e su Escartin, che eroicamente cercano di mantenere un barlume di dignità.

Quella che smarrisce Ullrich, che arriva arrancando ben nove minuti più tardi, il volto contratto in una maschera di sofferenza autentica, le pupille sgranate di chi sembra aver visto uno spettro scorrergli davanti. L'anticamera della maglia gialla è qui, insieme a una lezione memorabile: nei crinali della vita bisogna alzarsi sui pedali.

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