AFFITTOPOLI
In Italia le case che crollano, alla fine, sono meno dei politici che cadono per colpa delle case. Sul rapporto fra la casa e gli italiani - che tengono sì famiglia, ma poi devono pur sistemarla da qualche parte - si potrebbero scrivere interi giornali. Il Giornale nel 1995, prima direzione Feltri, ci fece un’inchiesta passata alla storia: quella sulle case di proprietà degli enti previdenziali, scoprendo che lo Stato le affittava a prezzi di favore ai politici. Da quel giorno aumentarono le vendite del Giornale. E anche il costo delle case per i politici.
BERLUSCONI
Se non ci fosse stato lui, cara Lei, avremmo dovuto inventare un’altra Italia. Intanto ci teniamo quella che - più nel bene che nelmale - ci ha dato Berlusconi. Anche se a molti la cosa non piace, tra gli anni ’70 e il 2023, il volto multiforme del Cavaliere-premier-imprenditore si è sovrapposto al ritratto del Paese. Il Giornale, che senza i soldi di Berlusconi avrebbe vissuto poco e male, ne ha raccontato vita, politica, epopea, mito, successi, processi, cadute e trionfi. E facendo cronaca, alla fine ne ha scritto la leggenda.
CONTROCORRENTE
Più che una rubrica, che resta la dimostrazione in breve della straordinaria capacità di scrittura di Indro Montanelli, «controcorrente» è un modo di essere e di fare un Giornale. Sinonimi: «fuori dal coro», «anticonformisti», «bastian contrari», «politicamente poco corretti». L’originalità del Giornale è stata quella di essere «contro» senza fare i rivoluzionari (ce n’erano già troppi dall’altra parte), ma essendo i conservatori. Si chiama stile. E non solo giornalistico.
DESTRA-SINISTRA
A destra della sinistra in tema di economia; e a sinistra della destra in tema di libertà; fieramente a destra sui doveri e con un certo equilibro a sinistra sui diritti, un po’ conservatori di sinistra e un po’ liberali di destra, in realtà è difficile incasellare quelli del Giornale. In fondo è la forza di noi che scriviamo. E la fortuna di voi che leggete.
ERRORI
In 50 anni di vita, di articoli, di foto, di nomi, di date, ne abbiamo fatti tanti (nonostante i correttori di bozze: mediamente più bravi di noi giornalisti). Potremmo invocare la fretta, la stanchezza, un refuso... Sono solo scuse. Sbagliamo perché siamo uomini. E sbagliamo tanto perché siamo giornalisti.
FIRME
Dalla «A» di Raymond Aron alla «Z» di Cesare Zappulli (nessuno ha mai saputo raccontare l’economia come e meglio di lui), quante ne sono passate di qui... Ognuno ha la propria a cui è più affezionato. Permetteteci di dire la nostra. Mario Cervi. Non è vero che fu il migliore dei numeri due. Era un numero uno (non solo come giornalista). Con un «fuori quota» sopra di sé. Tutto qui.
GIACCA (E CRAVATTA)
Una volta non entravi in redazione se non l’avevi. Oggi se ce l’hai rischi ti lascino fuori. I giornali (e la scrittura) sono lo specchio del Paese. E viceversa. Una volta si preferiva il rigore, oggi si rivendica la praticità. Una volta la lentezza, oggi la sintesi. Un tempo l’eleganza, oggi la comodità. E infatti si è finiti con l’usare asterischi, schwa, «e» rovesciate. Noi del Giornale vorremmo resistere. Senza metterci in tuta.
HOBBY
Il giornalismo non è un vero lavoro, ma un suo piacevole rimpiazzo. Tanto meno è una professione: semmai un mestiere (il secondo più antico del mondo: è l’arte di raccontare in giro i fatti degli altri). È qualcosa di difficile, spesso denigrato, poco redditizio. Ma che - se lo fai divertendoti, come lo fa il Giornale da 50 anni - può diventare qualcosa di impagabile. Anche per il lettore.
ITALIANI
Provare a raccontare l’Italia agli italiani, capirete, è ancora più difficile che governarla. Non solo è una cosa ardua,ma inutile. Ognuno è sicuro di conoscerla meglio di chiunque altro. Il Giornale ci prova lo stesso, con la presunzione di essere meglio degli altri. Del resto, siamo italiani anche noi.
LETTORI
Non hanno volto, ma un grande cuore. Noi non li vediamo, ma loro leggono tutto. Troppo spesso non li ascoltiamo, e invece loro ci danno persino retta. Sono mediamente più colti di noi, hanno viaggiato più di noi, sanno di economia e di politica molto più di noi. Ma continuano chissà come a fidarsi di quello che gli diciamo ogni giorno, in ogni pagina, da cinquant’anni. Alcuni «fin dal primo numero!». Più che di pazienza, si tratta di devozione. A proposito: «Grazie».
MERITO
Le persone si dividono fra chi fa il lavoro e chi se ne prende il merito. Tutti siamo sicuri ovviamente di essere fra i primi, senza accorgerci che spesso siamo fra i secondi. Vale in qualsiasi attività umana. In particolare nel giornalismo. Ciò però non ha mai impedito alGiornale di credere meno in incentivi, redditi di cittadinanza e assistenzialismo e più nel talento, nel libero mercato e nella competizione. Che è un po’ il nostro merito.
NEGRI
Ovviamente la via, «Gaetano»: numero civico 4, Milano, nel cuore della city, fra la Borsa e il Duomo, i soldi e la fede, sede storica - dopo piazza Cavour e prima di via dell’Aprica - del Giornale. Dal 1979 al 2023 da lì sono passati tutti e di tutto: firme nobili e penne grossier, giovani alle prime armi e vecchi tromboni all’ultima spiaggia. Ma quando ancora non avevano inventato il politicamente corretto, al tassista che ci chiedeva «Che via?», potevamo rispondere fieri: «Negri!».
ONNA
È il 25 aprile 2009, Festa della Liberazione. A Onna, paesino dell’Abruzzo devastato pochi giorni prima dal terremoto dell’Aquila, Silvio Berlusconi pronuncia da premier un discorso storico. Una denuncia degli orrori dei totalitarismi e un inno alla libertà. Mai l’Italia fu così unita. E anche noi del Giornale.
PARTITI
Abbiamo visto passare il Pci, la Dc, il Pd, l’Msi, An, persino l’Udc, l’Ulivo, la Casa delle Libertà... Ora ci sono una donna partita piano e arrivata lontano e una partita senza che nessuno la vedesse arrivare ed è arrivata al capolinea prima ancora di partire. Alla fine i partiti passano, il Giornale resta. Uguale a sé stesso, diverso da tutti.
QUOTIDIANO
Un tempo era la preghiera laica del mattino. Oggi l’intero comparto, almeno cartaceo, sembra al tramonto. Non esiste una persona sotto i cinquanta che in Italia compri un giornale. E la «rete» purtroppo non sempre ti salva. È vero: le notizie si trovano (più o meno) dappertutto. Noi abbiamo la presunzione di offrire una chiave di lettura per capirle. Quotidianamente.
REDAZIONE
Gli editori mettono i soldi, i direttori la faccia e i lettori la pazienza. Poi ci sono i giornalisti. Che mettono, nell’ordine: idee, ogni tanto persino notizie, migliaia di ore di lavoro, a volte errori, una quantità impressionante di fatica, fallimenti e delusioni. Ma soprattutto passione, rigore e fantasia. È vero che qualsiasi persona potrebbe fare il giornalista. Ma solo i giornalisti sono capaci di occuparsi di qualsiasi cosa. Sono essenziali proprio perché superflui.
STATO
Per un foglio liberale - e conservatore - come il Giornale, alla fine qualsiasi Stato va bene. L’importante è che ce ne sia il meno possibile. Niente ha accomunato i 50 anni della nostra storia come il principio che l’individuo e la libertà siano valori non negoziabili. Su tutto il resto in qualche modo ci si aggiusta.
TASSE
In Italia le promesse di abbassarle da parte di politici sono una garanzia: deludono sempre. E così imposte, tributi, canoni, bollette, pedaggi continuano a crescere. Governo dopo governo, decennio dopo decennio. È l’unica cosa che, come le battaglie del Giornale per abbassarle, in cinquant’anni non è mai cambiata.
URNE
Intese come elettorali.Il Giornale ha raccontato tutte le elezioni. Da quando Montanelli nel ’76 consigliò di «turarsi il naso e votare Dc» (Berlinguer disse poi che fu lo «slogan anticomunista più efficace mai ideato» e Andreotti che «non è stato molto bello, ma ci ha fatto comodo») fino all’anno III dell’era Meloni. Tra destra, centrodestra e destra-destra, l’area liberal-conservatrice le ha vinte quasi tutte. E un po’ anche noi.
VIAGGI
Un tempo i lettori leggevano i giornali anche per conoscere mondi che loro non potevano frequentare. Poi il ragioniere di Busto Arsizio ha cominciato a girare ilmondo, dall’Indonesia al Cile, più di quanto facciano i giornalisti. Ed è cambiato tutto. È vero: ora noi viaggiamo meno, ma cerchiamo di fare correre di più idee e opinioni. È più comodo, certo; ma più difficile. Fidatevi.
WOKE
È una battaglia, in origine legittima, contro le ingiustizie sociali e razziali; che però si è presto trasformata in un’ideologia che colpevolizza un po’ troppi valori della civiltà occidentale. Oggi è una guerra culturale. Che il Giornale combatte già prima che scoppiasse in America. Quando ancora la New Left statunitense non aveva iniziato a utilizzare il terminepolitically correct, Montanelli e i suoi erano già stufi di essere scorretti. Si chiama destino.
ZOO
Ogni giornale, un po’, lo è.
In passato dalla nostra redazione sono passati merli entrati nella leggenda del giornalismo (quello che Rizzoli donò a Montanelli e che mandava tutti a fare in culo), pitoni (quello di Paolo Longanesi), pastori tedeschi (Gomulka), lupe, papere (tante papere...) e pesci. Tranne che rossi. Oggi sono rimasti solo giornalisti. E giornaliste, per carità. Poi ci sono le bestialità che ogni tanto finiscono in pagina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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