Le prime parole del neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump suonano per l'Europa come una sveglia un po' urticante. Un allarme a cui dal Vecchio Continente, per ora, si è risposto sostanzialmente con due accenti molto diversi, ma entrambi in qualche modo inadeguati rispetto agli stimoli proposti, con una certa brutalità verbale, dal nuovo inquilino della Casa Bianca.
Nel mondo progressista è immediatamente scattato quel complesso di superiorità morale con cui l'intellighenzia del Vecchio Continente giudica le scelte altrui: non basta che siano «democratiche», ovvero avallate da una maggioranza elettorale, devono anche sottostare a canoni etici e politici in linea con il solco della sinistra europea. Una sorta di «protettorato» ideologico, senza il quale anche la più importante democrazia del mondo non ha diritto ad agibilità politica.
A destra, l'arrivo di Trump è stato salutato come una messianica conferma dello sdoganamento di una linea politica, senza tuttavia interrogarsi sul suo reale significato e soprattutto sugli impegni che questa richiede, soprattutto per chi intenda sposarla.
Insomma, di fronte ad un pianeta che sta profondamente cambiando, alle sfide, sociali, tecnologiche, militari che si pongono davanti agli Stati, la placida Europa si acconcia ancora una volta a porsi nel ruolo dello spettatore, tifoso o indignato, ma poco di più.
Chi applaude al progetto trumpiano si augura che di fronte a tanta spavalderia verbale non seguano poi i fatti annunciati; chi detesta quel disegno, si prepara ad erigere muri morali per contrastarlo, nella speranza che passi la bufera.
Da questa analisi restano totalmente escluse la realtà e le ragioni che hanno spinto gli Stati Uniti verso la nuova amministrazione. La realtà è che il pianeta sta vivendo una stagione di grande turbolenza, destinata a ridisegnare equilibri geopolitici dopo la stagione del crollo del Muro di Berlino e la lunga era di globalizzazione economica.
Le strutture sociali stanno cambiando con la più gigantesca rivoluzione tecnologica vissuta dall'umanità, disegnando nuove ricchezze e nuove emarginazioni che ogni governo è chiamato a gestire. Le grandi potenze, che per decenni si erano sfidate solo sul piano commerciale, secondo regole di mercato spesso sfavorevoli per i sistemi più maturi, oggi tornano a mettere in campo politiche di potenza che sembravano sepolte dalla Storia. Quelle politiche che vedono navi da guerra e carri armati al fianco della finanza e della moneta.
Ora, è chiaro a tutti che l'asse che lega le due sponde dell'Atlantico, l'America e l'Europa, è una alleanza politica, economica, culturale e militare che gioca una partita comune. È il blocco uscito vincitore dalla Guerra Fredda, che ha guidato il mondo e che intende continuare a farlo.
In questo sodalizio però non tutti hanno investito le stesse risorse, umane ed economiche, e diversi sono stati benefici e sacrifici. Ed è questo riequilibrio che l'America di Trump oggi chiede all'Europa.
Mentre gli Stati Uniti investono quasi il 5 per cento della propria ricchezza nella difesa, l'Europa fatica a superare il 2 per cento. Allo stesso tempo, però, i cittadini del Vecchio Continente sono protetti da un sistema di welfare e di garanzie che costa tra il 25 e il 50 per cento della ricchezza dell'intero continente, mentre famiglie e lavoratori di là dall'oceano si ritrovano assai meno garantiti, in un sistema che non supera il 17 per cento di spesa sociale.
Il benessere del cosiddetto blocco occidentale viene dunque garantito dalle armi di Washington, dai marines dispiegati nel mondo, dai cambiamenti tecnologici che disorientano e impoveriscono la classe operaia della manifattura americana, mentre l'Europa si culla nel suo costosissimo sistema di sicurezza sociale ed economica, permettendosi anche, talvolta, lezioni morali verso chi quella sicurezza da anni la paga con i propri soldi, le proprie incertezze e anche il proprio sangue.
Oggi per l'Europa Trump suona la campanella della ricreazione finita. Perché l'alleanza resti stabile e centrale nel tumulto del mondo che cambia, ognuno deve assumere impegni commisurati a quelli dell'altro: le garanzie dell'operaio dell'Ohio non possono essere così diverse da quelle del metalmeccanico europeo, i militari che presidiano i confini del nostro mondo non possono avere solo la bandiera a stelle e strisce sull'uniforme, se le dimensioni di impresa e la capacità di investire in tecnologia faranno la differenza negli equilibri del mondo che verrà, l'Europa si attrezzi con i propri colossi, invece di fare la guerra a quelli americani, che, come Elon Musk, garantiscono pure i collegamenti nell'Ucraina assediata dall'impero russo.
Non basta dunque applaudire o dissentire.
L'America di Trump pretende da Bruxelles e dagli alleati delle risposte e dei cambiamenti, né semplici né indolori, ma indispensabili. Il messaggio è chiaro: in un mondo tornato carnivoro, l'Europa non può restare una potenza vegana, serena a brucare, protetta da chi, oggi, non può più permettersi un rapporto così squilibrato.
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