Michele Anselmi
da Venezia
Ha vinto Ang Lee, ma ha trionfato George Clooney. Ieri sera nuovo bagno di folla per il più simpatico e sexy dei divi hollywoodiani: il liberal del Kentucky che detesta Bush e plaude alle antiche virtù americane. L'uomo sa come farsi amare, pure dalle giurie: e infatti al suo Good Night, and Good Luck sono andati due premi su otto: migliore sceneggiatura e migliore attore protagonista, nella persona di David Strathairn. Prendendo la parola alla cerimonia, Clooney ha dedicato il riconoscimento all'eroe del suo film, Edward R. Murrow, il giornalista tv che sfidò il maccartismo a metà degli anni Cinquanta «insegnandoci che non si può permettere a chi detiene il potere di esercitarlo senza limiti». Il pubblico in tenue de soirée ha applaudito e lui, annusando l'aria, dopo aver scherzato in italiano, ha tirato l'affondo pacifista contro chi «pensa solo a buttare le bombe più rovinose».
È stato un palmarès allinsegna del politicamente corretto, il che non significa incongruo o sbagliato. Sin dalla mattinata si sapeva tutto, sicché la premiazione ripresa in diretta da RaiSat non ha riservato sorprese. E dunque, per restare ai tre premi più incisivi: Leone d'oro a Brokeback Mountain di Ang Lee, Leone d'argento a Les amants réguliers di Philippe Garrel (occhio, passa stanotte su Raitre), Premio speciale della giuria a Mary di Abel Ferrara. Una storia di cowboy omosessuali nel Wyoming del 1963, una storia di giovani rivoluzionari nella Parigi del 1969, una storia di cinema e redenzione spirituale nella New York di oggi.
E l'Italia? Non possiamo lamentarci: dal cappello della giuria, presieduta dal connazionale Dante Ferretti, scenografo oscarizzato, è uscita la Coppa Volpi per Giovanna Mezzogiorno, protagonista di La bestia nel cuore. Lei, capelli raccolti e sguardo fiero, è salita sul palco per ringraziare la sua regista, Cristina Comencini, e dedicare il premio «alluomo che mi ha fatto da padre quando mio padre non cera più», ovvero il famoso teatrante Peter Brook. Brava. Almeno se l'era preparato, il discorsetto, al pari del collega David Strathairn, che sè sforzato di parlare italiano, leggendo un biglietto minuscolo, prima di fingere, a uso e consumo dei fotografi, di bere dalla coppa appena ricevuta. Il solito disastro, invece, Abel Ferrara, così inchiodato al cliché del cineasta genio & sregolatezza da non riuscire a spiccicare parola: tutto tic e voce roca, mezzo ripiegato su se stesso, dentro uno smoking troppo grande. Sapete, gli artisti. Alla stessa famiglia appartiene il francese Garrel, il quale, salutando col pugno chiuso (però il sinistro), s'è schierato ancora una volta «contro il conformismo e l'accademia».
Bisogna riconoscere che la cerimonia di inaugurazione era andata meglio. Più svelta, fluida, elegante. Ieri sera, invece, spirava unatmosfera di moderata confusione, specie nel ritiro dei premi e nelle uscite dal palco. La madrina Inés Sastre è apparsa un po irrigidita nell'abito stile Impero di Valentino, in compenso la new entry Massimo Sebastiani, giornalista dellAnsa, ha saputo muoversi con rilassata ironia, senza atteggiarsi a spiritoso. Se dovessimo riassumere il gran finale in unimmagine, be non ci sono dubbi: il filosofo Cacciari e il divo Clooney che si abbracciano sul tappeto rosso, all'ingresso del Palazzo, come fossero vecchi amici. Più tardi, nel salutare il Leone alla carriera a Stefania Sandrelli, il sindaco ha voluto ribadire la passione per «il cinema d'impegno, non solo favole per bambini» e sè subito capito che non vedeva l'ora di scappare.
Ultimo a salire, il cinese americanizzato Ang Lee, sorridente ed emozionato.
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