"Trumpiana e leale alla Ue. Un bel successo politico"

Il professore: "Rafforzato il suo rapporto con Donald e Ursula. Non era facile per la premier"

"Trumpiana e leale alla Ue. Un bel successo politico"

«Un giudizio sulla visita di Meloni a Washington? Un bel successo politico». Chi parla è Mario Monti, uno dei più autorevoli economisti italiani. È stato professore e poi presidente della Bocconi, due volte commissario europeo (la seconda volta con Prodi), capo del governo di unità nazionale tra il 2011 e il 2013, leader di una lista elettorale centrista che raccolse circa il 10% dei voti alle elezioni politiche del 2013. Oggi è senatore a vita.

Senatore, politicamente la visita di Giorgia Meloni a Washington, come può essere valutata?

«Un bel successo politico, per lei e per l'Italia. Avevo io stesso auspicato che la premier non trattasse con Trump la questione spinosa dei dazi, di competenza della Commissione europea; ma che, avvalendosi della simpatia politica e personale tra loro, spiegasse al presidente che l'Ue non è nata contro gli Stati Uniti bensì con il loro favore e che con loro è stata decisiva nella liberazione dei Paesi sottoposti all'impero sovietico; che per i dazi e altri temi è con la Ue che l'Amministrazione Trump dovrà trattare ma che il governo italiano, membro leale della Ue e amico degli Stati Uniti, faciliterà le trattative».

È andata così?

«Mi sembra di sì. È importante per l'Europa e per l'Italia che, proprio nel luogo delle massime tentazioni, la più autorevole trumpiana d'Italia e d'Europa si sia posizionata nella lealtà europea. E ha rafforzato il suo buon rapporto sia con Trump che con Ursula von der Leyen. Non era facile, ci è riuscita, la sua statura politica ne trae vantaggio».

È nato un asse Italia-Usa?

«Tema importantissimo. Un asse culturale, economico, civile, di scambi, di simpatia reciproca tra il popolo italiano e quello americano non nasce oggi. Deve continuare e svilupparsi. Ma credo che i rapporti storici, fondamentali tra Paesi alleati e amici debbano restare ben distinti dalla crociata per promuovere o imporre nuove culture, valori, ideologie. La presidente Meloni ha detto a Trump: Sono qui per rendere l'Occidente più unito e più forte. Un proposito giustamente ambizioso, per una leader di polso che potrebbe restare in campo per diversi anni, ma al tempo stesso molto scivoloso. E qui noi italiani abbiamo il diritto e il dovere di porre alla premier una domanda. Quale Occidente vogliamo rendere più unito e più forte, e soprattutto con chi?».

Con Trump?

«Il presidente Trump in tre mesi ha spaccato e indebolito l'Occidente più di quanto la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping e perfino l'Unione Sovietica di Stalin e la Cina di Mao Tse-tung avrebbero mai sognato. Ha unito ad una assertività imperiale una effettiva abdicazione dalla leadership che gli Stati Uniti avevano costruito per 80 anni e più».

Non c'è più questa leadership?

«Gli Usa hanno perso la leadership delle democrazie liberali, delle moderne economie di mercato, dei Paesi e degli enti internazionali impegnati nel dare un minimo di governance multilaterale ad una globalizzazione altrimenti distruttrice. Questa non è una percezione soltanto dell'Unione europea. Per esempio il Regno Unito, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda, che non fanno parte della Ue bensì del sistema di intelligence (Five Eyes) più avanzato e integrato del mondo, guidato dagli Stati Uniti, sono attoniti e cercano altrove punti di riferimento tuttora affidabili».

Oggi l'America è vista con meno simpatia in Europa?

«Gli Stati Uniti hanno rovesciato le loro simpatie in Europa, a danno dell'Ue e a vantaggio della Russia di Putin, autocratica e con un'economia dominata da oligarchi vicini al presidente, come alcuni a Washington e nella Silicon Valley vorrebbero diventassero anche gli Stati Uniti. Certo, per Fdi una stretta contiguità con il potere politico di Trump e quello economico di Musk può essere una tentazione irresistibile. Ma quanti italiani vorrebbero un Occidente sempre più unito e forte su queste basi?».

I rapporti tra Italia e Europa miglioreranno?

«Molto dipenderà, secondo me, dalla direzione che il governo Meloni prenderà sui punti appena menzionati. Registriamo, intanto, la buona mossa di Meloni a Washington, buona per Trump e buona per l'Europa».

Forse Macron non è molto contento?

«Non ne ho idea. Comunque il presidente Macron è molto indebolito. Non credo per effetto della nostra premier, quanto piuttosto perché sul piano interno paga il prezzo del dovere gestire la Francia con uno strumento costituzionale obsoleto. Infatti la Repubblica presidenziale, o comunque l'elezione diretta del premier (come vorrebbe la riforma Meloni del Premierato) dà la parvenza di governi più stabili e più efficaci. In realtà, gli effetti rischiano di essere opposti, come mostra il caso francese e come ho spiegato in Senato motivando il mio voto contrario».

Secondo lei Trump frenerà sulla sua linea dei dazi alti?

«In parte sì, se vorrà accordi e non capitolazioni, che nessuno gli darebbe. Ma in parte il male è già fatto, nel senso dell'aumento dell'incertezza per l'economia globale che c'è già stato».

L'America resta la più grande democrazia liberale? O la politica dei dazi intacca il suo liberalismo?

«Il liberalismo è l'orpello che Trump vorrebbe eliminare. Non sono i dazi, benché possano essere una cattiva idea, a trasformare una democrazia liberale in una democrazia capace di scivolare verso l'autocrazia. È la convinzione, nella mente del leader e trasmessa al popolo, che chi vince le elezioni riceva dal

popolo un mandato assoluto, che dà a chi governa il diritto, anzi il sacro dovere, di eliminare ogni ostacolo, pur se previsto dalla costituzione, sulla marcia del volere del popolo, interpretato naturalmente dal leader. Se fossi la Meloni starei più attenta, con Trump, anche per un motivo strettamente politico suo. Si è abbastanza smarcata dalla domanda se, oltre a non essere fascista, sia anche antifascista. Ecco, il presente offre, oltre oceano, un banco di prova che tutti seguiranno con attenzione, per formarsi un giudizio su Trump ma anche sui leader a lui più vicini nel mondo».

Pensa che Trump riuscirà a porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina?

«Non in un giorno, come aveva promesso. Se e quando, lo vedremo».

Se lei fosse stato ancora presidente del Consiglio si sarebbe comportato come si è comportata Giorgia Meloni?

«Anche allora ci fu una componente pedagogica da parte italiana. Nel febbraio 2012, quando il presidente Obama mi ricevette nello studio ovale, l'Italia stava ancora combattendo per superare la crisi finanziaria. Chiesi a Obama non prestiti, ma di premere anche lui su Angela Merkel per una politica tedesca ed europea più espansiva, a vantaggio anche degli Usa».

Lo fece?

«Nei mesi successivi lo fece, anche concordando telefonicamente le sue mosse con le nostre. Questo contribuì ad eliminare la camicia di forza con la quale la Germania aveva a lungo impedito alla Bce di fare una politica monetaria più espansiva. Ricordo ai lettori del Giornale che quel governo italiano non era nato per un golpe, come spesso hanno letto, ma per rimediare ad una crisi di sfiducia sul nostro Paese alla quale il governo precedente di Silvio Berlusconi non era stato in grado di porre rimedio per il venir meno della maggioranza. Il partito di Berlusconi e i suoi deputati, tra i quali Giorgia Meloni, appoggiarono con i loro voti in Parlamento le misure che dovemmo prendere. Poco dopo il grande appoggio dichiarato da Obama al termine della visita alla Casa Bianca, lo stesso Berlusconi disse nel febbraio 2012, proprio al Giornale, che fu lui a indicare a Napolitano il mio nome come suo successore».

Alla fine di quell'anno nacque Fratelli d'Italia.

«Già, e la Meloni per vari anni capitalizzò con successo su una dura opposizione sia all'Ue sia alla disciplina di bilancio.

Osservandola oggi a Roma, a Bruxelles e a Washington, fa piacere vederla impegnata a guidare l'Italia su una linea che ricomprende i valori e i riferimenti di fondo che avevano allora portato l'Italia fuori dal baratro».

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