AIUTI ALL'AUTO - Si rinvia il problema e la crisi resta

La ragione per cui gli aiuti di Stato alle imprese sono una iattura è di principio. Le risorse che i governi utilizzano per i propri interventi sono quattrini che per altra via (le tasse) vengono prelevati dalle tasche di imprese e cittadini. Aiutare, tanto per fare un nome, la Fiat vuol dire dunque utilizzare le nostre imposte per finanziare un’impresa il cui prodotto non ottiene il consenso del mercato. Si assiste dunque a un paradosso favoloso. Gli italiani non hanno quattrini per comprarsi una nuova macchina e allora lo Stato glieli toglie in forma di tassazione per sovvenzionare qualcosa che gli stessi non sono in grado, o non hanno voglia, di comprare.
Ecco la questione di principio. C’è qualcuno che sa meglio di noi come si debba impiegare il frutto del nostro lavoro. A questa obiezione di principio, liberale e non solo liberista, se ne aggiunge un’altra pratica. Aiutare un’industria non risolve la radice del problema. Semplicemente lo sposta più in là nel tempo. Il caso delle auto, è emblematico. In giro per il mondo c’è troppa capacità produttiva: troppe fabbriche rispetto alla domanda potenziale di auto. E questo il numero uno della Fiat, Sergio Marchionne, lo sa benissimo. E meglio di noi. Egli ha infatti recentemente notato come il settore sia destinato a un rapido consolidamento: non più di cinque o sei produttori in giro per il mondo. Fabbriche da chiudere e impianti da dismettere.
L’obiezione a questo schema di ragionamento è di fatto una sola. Vi sono delle imprese too big to fail, come abbiamo sentito ripetutamente dire in America. Imprese, cioè, la cui caduta comprometterebbe il lavoro di molti, troppi. È più o meno il retropensiero con il quale Marchionne ha evocato il possibile licenziamento di 60mila addetti. In un momento di crisi generalizzata dell’economia, ovviamente, l’argomento «bomba sociale» ha una capacità di persuasione molto superiore che in tempi normali. Ma attraverso gli stessi strumenti logici si può sostenere anche l’impossibilità di aiutare un solo settore, per quanto importante. Come si fa, infatti, a prevedere un massiccio aiuto a un comparto industriale, senza aprire nel momento stesso nuovi fronti verso altri settori dell’economia parimenti in crisi? Insomma, gli aiuti di Stato sono un vaso di Pandora, scoperchiarlo rischia di innescare una catena di rivendicazioni. Il criterio di scelta su chi aiutare diventa inevitabilmente arbitrario e, dunque, politico. Il ministro leghista Roberto Calderoli ha subito mostrato la sua irritazione per le ipotesi di aiuto alla Fiat. Ma non sembra (possiamo sbagliarci) che abbia fatto altrettanto per i 50 milioni che il suo compagno di partito, il ministro Luca Zaia, ha elargito ai produttori di Parmigiano per «aiutarli» nella loro crisi. È nello «Statuto internazionale degli aiuti alle imprese» l’arbitrarietà della politica nel concederli. La maschera è sempre quella della strategicità di un settore (ma quale non lo è?) e dell’occupazione del suo indotto.
Marchionne e la Fiat hanno però due frecce avvelenate che possono con più di una ragione utilizzare. Tutto il mondo sta varando aiuti al settore auto: l’Italia, senza interventi, si troverebbe ad affrontare una concorrenza sleale.

Marchionne, inoltre, potrebbe semplicemente rivendicare (aderendo al nostro schema liberista) la chiusura di almeno due impianti in Italia (Pomigliano e Termini) che Fiat continua più o meno a mantenere per più alte «ragioni sociali» e non già per il loro apporto produttivo.
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