Settant'anni dopo il suo battesimo, The Tender Land di Aaron Copland ha conosciuto la sua prima rappresentazione in Italia. Merito pieno del Teatro Regio di Torino che l'ha presenta nell'agile versione per piccolo organico che l'autore autorizzò, rendendo possibile la sua circolazione nei college e ovunque il budget fosse limitato. Chi volesse ascoltare come «suona» nella versione originale quest'opera quintessenza dello spirito americano il collasso della famiglia rurale, l'emancipazione femminile sullo sfondo del Midwest durante la Grande Depressione - può ascoltare un recente cofanetto pubblicato da Sony, dove sono raccolte le maggiori composizioni di Copland, da lui stesso splendidamente dirette. La versione torinese al Piccolo Regio ha potuto avvalersi dell'impegno del direttore d'orchestra Alessandro Palumbo (foto) e della regia misurata Paolo Vettori, dimostrando che quando lo spazio è ristretto come la «borsa», il teatro autentico trova sempre soluzioni ingegnose (chi non stava sul palcoscenico si affacciava dalle scene, fra le finestre ecc.) e appropriate.
Anche in versione «ridotta» la qualità della musica di Copland è emersa con limpidezza, ribadendo quanto importante sia stata la figura di questo compositore nell'inventare una musica tipicamente americana con i suoi richiami a temi e ballate folcloriche, le incursioni di rustiche danze, l'attenzione ad lingua sentita e vigorosa di quella gente di campagna a cui il musicista non aveva smesso di guardare con fiducia, nonostante, come newyorchese, liberale, omosessuale ed ebreo, la speranza di vivere in pace nella «terra promessa» era una bella utopia.
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