Alfano pronto a fermare il processo a Lassini

I pm hanno chiesto l'autorizzazione a procedere, ma il ministro è orientato a negarla. Il guardasigilli fermò anche il procedimento contro la Guzzanti: da sempre è contrario ai reati di opinione

Alfano pronto a fermare  
il processo a Lassini

Luca Fazzo - Enrico Lagattolla

Milano - L’inchiesta per i manifesti «Fuori le Br dalle Procure», affissi a Milano nelle settimane scorse e travolti da un’ondata di indignazione e di polemiche, è destinata a chiudersi con un nulla di fatto. Né l’ideatore della trovata, l’avvocato Roberto Lassini, né Giacomo Di Capua (ormai ex capo della segreteria dell’onorevole Mario Mantovani, il coordinatore lombardo del Pdl), finiranno sotto processo per vilipendio della magistratura. Ieri il procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati, che aveva disposto l’apertura dell’indagine, ha chiesto al ministro della Giustizia Angelino Alfano di autorizzare l’incriminazione dei due responsabili dell’affissione. Ma - secondo quanto risulta al Giornale - l’autorizzazione verrà negata. E, poiché per questo genere di reati il via libera del Guardasigilli è condizione indispensabile, l’inchiesta dovrà inevitabilmente essere archiviata.
La risposta ufficiale di Alfano - che ieri era fuori sede, impegnato nell’ultima tornata della campagna elettorale - arriverà solo nei prossimi giorni, per quanto in realtà la legge non imponga scadenze alla comunicazione del ministro. Ma, anche per una questione di precedenti, la decisione del ministro è scontata. Fin da quando è stato nominato ministro, nel maggio 2008, Alfano ha sempre manifestato la sua contrarietà all’apertura di procedimenti penali per reati d’opinione previsti dal codice penale fascista del 1930. Ci sono, come è noto, due precedenti rilevanti. Entrambi dello stesso tenore. Il Guardasigilli, infatti, rifiutò l’autorizzazione a mettere sotto processo Antonio Di Pietro, accusato di vilipendio del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, accusato dal leader dell’Idv di essere un «vigliacco»; e parimenti rifiutò l’autorizzazione a processare Sabina Guzzanti, che era accusata di avere insultato il Sommo Pontefice. Alfano sa perfettamente che oggi si trova davanti a un caso diverso: il coro di proteste suscitato dai poster anti-toghe, l’indignazione della magistratura, le polemiche politiche, insomma tutto il putiferio dei giorni scorsi fa sì che l’impeachment di Lassini venga chiesto praticamente a furor di popolo. Il ministro sa che rifiutando l’autorizzazione chiesta da Bruti Liberati si troverà sua volta investito dalle polemiche. Ma non c’è nessun motivo di ritenere che questa prospettiva lo spingerà a ribaltare la prassi seguita nei casi precedenti.
L’annuncio della richiesta di autorizzazione è stato dato ieri mattina da Bruti Liberati con una nota che sintetizzava i risultati delle indagini preliminari compiute nei giorni scorsi. Come è noto, l’indagine era stata aperta a carico di ignoti subito dopo l’affissione dei manifesti, poi era stato lo stesso Lassini - con una intervista al Giornale - a autoindicarsi come promotore dell’iniziativa, salvo poi fare una parziale marcia indietro. Gli accertamenti della Digos avevano portato poi a iscrivere nel registro degli indagati anche Di Capua, uno dei più stretti collaboratori del coordinatore del Pdl lombardo, Mario Mantovani. Nella nota diramata dalla Procura si legge che «Di Capua, capo della segreteria dell’onorevole Mario Mantovani, e Lassini, presidente onorario dell’associazione “Dalla parte della democrazia”, ideavano ordinandone la stampa (nel numero di 5mila copie) e successivamente l’affissione, manifesti contenenti l’espressione offensiva dell’onore e del prestigio dell’ordine giudiziario “Via le Br dalle procure”».

La responsabilità di Di Capua, spiega la nota, starebbe in «un ruolo attivo nell’ordinare i manifesti alla società Cipi2 di Giovanni Comolli, lo stampatore che ha preparato i manifesti e che ha dato l’incarico di affiggerli a un’altra società».
Per questo la Procura chiede di processare Lassini e Di Capua per il reato previsto dall’articolo 290, e punito con la multa da mille a cinquemila euro. Ma è un processo che non si celebrerà mai.

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