Alitalia rischia di diventare il nuovo Belice

L’ennesima rottura sindacale, con l’ennesimo accordo in extremis. Si spera. L’agonia dell’Alitalia rischia di diventare come il terremoto del Belice, che a quaranta anni di distanza, rappresenta ancora un costo per i contribuenti italiani. Ci sono delle storie che l’Italia non riesce a gettarsi alle spalle. Due giorni fa i sindacati hanno di nuovo ribaltato il tavolo delle trattative con i rappresentanti di Cai, ieri c’è stato un lungo tira e molla, con toni inizialmente accesi e poi veloci riprese di dialogo. Un certa dose di «dialettica» (così si dice?) in un trasferimento aziendale è normale. Una certa pazienza degli acquirenti è nei fatti. Ma la dose di sopportazione da parte dei cittadini (almeno di una larga parte di essi) è finita. Basta. Abbiamo esaurito le scorte. Non siamo seccati, siamo furibondi. Alitalia è fallita. Morta. Sepolta. In venti anni abbiamo svuotato le nostre tasche di contribuenti della bellezza di 5,1 miliardi di euro per tenerla in piedi. Non pretendiamo un grazie, per carità. Ma che qualcuno si ricordi di questa immensa solidarietà tollerata nei confronti della vecchia Alitalia, per di più con le tasse del nostro lavoro.
C’è chi (come il sottoscritto) ha considerato avventata l’uscita di Silvio Berlusconi, in campagna elettorale, a favore di una soluzione italiana. Ma ora che c’è, si percorra. Oggi il cda di Cai deve presentare un’offerta al commissario Augusto Fantozzi per rilevare parte del complesso aziendale. E senza la forma del contratto da parte delle nove sigle sindacali, Cai non compra nulla. La vecchia Alitalia viene lasciata al suo destino: il fallimento, i velivoli a terra, il trasporto aereo domestico occupato dalle altre compagnie. Se ne rendono conto i sindacalisti che stanno tirando la corda?
Ma quale cavolo di motivo al mondo giustifica la permanenza di 45mila giornate all’anno di permessi sindacali? Che qualcuno ci risponda. Che qualcuno di Alitalia ci scriva e ci dica in quale industria al mondo vi è un livello di permessi sindacali tanto elevato. Si dirà che è un dettaglio. Non lo è affatto. È la filosofia di una compagnia aerea che ragiona con i criteri clientelari di cui è figlia. Per un semplice senso di giustizia verrebbe la voglia di mandare la trattativa a carte quarantotto (grazie a Dio e per fortuna dei piloti Alitalia non siamo noi a farla), viene la voglia di prendere l’ulteriore miliardino che i contribuenti italiani dovranno sopportare per salvare il salvabile con Cai e destinarlo ad ammortizzatori sociali per quelle fasce di popolazioni che, silenti, in questi giorni stanno perdendo il loro posto di lavoro. Verrebbe la voglia di prendere quelle migliaia di dipendenti Alitalia, che sempre più sono disgustate dal comportamento dei propri rappresentanti sindacali, e «riproteggerli» (come si dice nel loro gergo) in qualche altro impiego.
Vogliamo essere ancora più chiari.

Neanche Colaninno e soci saranno in grado di salvare il trasporto aereo nazionale se non riusciranno a estirpare questa camarilla di capi popolo che hanno pensato per almeno vent’anni solo ai propri affaracci.
Nicola Porro

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