Così i pugili danzano sul ring

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto di La danza sul ring. Storia e regole del pugilato (Passaggio al bosco) di Cristiano Ruzzi

Così i pugili danzano sul ring

Tra tutti gli sport che suscitano dibattiti, condanne e appassionate difese, ve n’è uno che spesso diventa oggetto di polemiche e di leggende metropolitane: il pugilato. Ed è comprensibile, trattandosi di questioni correlate negli sport moderni. Allo storico non deve sfuggire tutto questo, pur constatando un’amara verità, ovvero che di pugilato si può morire; e si può essere mutilati, e ridotti a ruderi, a pallide ed ebeti vestigia di esseri umani. Una evidenza che è presente nelle prime opere dedicate alla “nobile arte”, dove il dramma viene rielaborato attraverso le sue contrapposizioni fondamentali: muscoli contro cervello; vanagloria contro modestia; gioventù contro esperienza.

Tuttavia, se ci addentrassimo nelle statistiche della mortalità per le attività sportive, potremmo smontare facilmente questa “aura maligna”: rispetto ai 500 morti provocati dal pugilato moderno, da metà Ottocento ad oggi, possiamo altresì constatare le 525 vittime nelle corse automobilistiche statunitensi tra il 1989 e il 2014. Nel 2018 la Term Life Insurance, una compagnia di assicurazioni americana, ha stilato una lista di attività sportive tra le più pericolose in una scala valori da 1 a 7: i primi cinque posti sono occupati dall’heliskiing, il base jumping, il rafting lungo i fiumi, l’alpinismo e l’immersione nelle grotte. Inoltre, se tenessimo conto degli incidenti nelle escursioni in montagna negli ultimi quattro anni, otterremmo dei numeri che superano di gran lunga gli sport sopra elencati.

Lo sosteneva già Cashel Byron, protagonista di uno dei primi romanzi di Bernard Shaw: «Guardi quanti vengono uccisi o storpiati ogni anno nelle corse con ostacoli, nella caccia alla volpe, nel cricket e nel calcio: sono dozzine! Guardi le mi- gliaia che sono uccisi in battaglia! Ha mai sentito che qualcuno è stato ucciso sul ring? Be’, dal principio alla fine, durante tutto questo secolo dacché si svolge il mio genere di lotta, non ci sono stati neppure sei casi con esito letale in incontri veramente seri. È meno pericoloso del ballo: a molte donne han preso fuoco le vesti mentre ballavano e sono morte bruciate».

La questione, dunque, non può essere la personalità, come provato anche dal paradosso “shawiano”. A differenziare in modo netto e definitivo il pugilato dagli altri sport pericolosi è la precarietà fisica, lieve o grave che sia, dell'atleta (che rientra nella natura logica ed evolutiva di un combattimento). Tuttavia non è necessaria la morte, né la temporanea perdita di coscienza per vincere un incontro di pugilato. Anzi: la drammaticità delle situazioni venutesi a creare sul ring può essere indipendente dalla volontà o dalla relativa mancanza di quest’ultima nei due sfidanti. Il che suggerisce «un modello di realtà in cui siamo umanamente responsabili non solo delle azioni che compiamo, ma anche di quelle compiute contro di noi». Il pugile che “uccide” l’avversario vince nella sua forma più tragica e letale: tale colpo rientra nella “logica” della boxe, essendo tecnicamente un colpo riuscito, sportivamente “giusto”. Il passo falso dell’alpinista o la slavina che lo travolge, il guasto meccanico o la manovra sbagliata del pilota sono degli eventi tecnicamente errati o imprevisti, sportivamente “ingiusti”.

La pericolosità è altra cosa – socialmente di primaria importanza, forse – ma moralmente secondaria agli occhi di chi condanna l’incontro di boxe come «l’immagine stessa, ancora più spaventosa nel suo essere così formalizzata, dell’aggressività collettiva del genere umano». Sui valori del pugilato e sulla sua utilità formativa e morale, vi è un assenso quasi unanime, così come sulle sue qualità propedeutiche, che potremmo riscontrare nel concetto ellenistico di “Athlos”, che vede nello sport un veicolo di slancio verticale in antitesi alla prospettiva edonistica ed individualistica che viviamo tutti i giorni. Pur evidenziando questa dimensione di mens sana in corpore sano, quando si tratta di pugilato l’opinione pubblica – impregnata di una forte algofobìa – resta impaurita e scettica. E forse ciò fa parte dell’essenza segreta di questo sport splendido e terribile, intriso di storie tanto violente quanto intense. Ovvero i segni dell’indefinibile comunione tra il corpo e il proprio dolore, la bellezza della vita e il coraggio all’interno di questo sport, riscontrabili nella voce dei poeti e filosofi, antichi e moderni, per affinare l’agon nella dimensione guerriera di cui è parte integrante: «O se noi stessi fossimo pugilatori, già molti giorni prima dell’incontro non cercheremmo di imparare a combattere, non ci eserciteremmo imitando tutte quelle mosse quante sono quelle di cui dovremo usare allora combattendo per la vittoria. [...] Forse che la forza combattente del nostro stato oserà ogni volta affrontare la più grande battaglia meno preparata di quegli atleti, oserà in tali condizioni combattere per la sua vita, per i figli, per le ricchezze, per tutta la comunità?».

Nell’accettazione fervida d’estro: «Quest’arte limpida che è la boxe dove l’intelligenza ispiratrice e ordinatrice affiora sotto ogni gesto, può offrire agli scrittori una buona lezione». Nella celebrazione del pugno in quanto: «arma di tutti i giorni, arma umana per eccellenza, la sola che sia organicamente adatta alla sensibilità, alla resistenza, alla struttura offensiva e difensiva del nostro corpo». Ma la boxe non è fatta meramente di knock out, esibizioni da showman o violenza gratuita all’interno del ring: è fatta soprattutto di atleti, spesso pionieri, spesso epigoni, che hanno plasmato questo sport con le loro vittorie e sconfitte. È difficile raccontare queste vite, spesso distanti dalla nostra contemporaneità: si è tentati di utilizzare un approccio romanzesco, o con degli aneddoti biografici, oppure seguendo la cronologia dei pesi massimi (il titolo più prestigioso e definitivo per un pugile).

Ho voluto strutturare questo libro utilizzando una linea temporale progressiva, ripercorrendo la storia della boxe e ricostruendo, di volta in volta, la vita di quei campioni che hanno lasciato una traccia importante nel pugilato. Il mio augurio è che possa essere fruibile tanto per i neofiti, quanto per gli appassionati di boxe. Si dia dunque inizio alla danza degli atleti sul ring.

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