I lettori del Giornale sono abituati bene, hanno il palato fino, ed io cercherò di non deluderli. So che l’impresa è difficile, al limiti della temerarietà, come ho già avuto modo di dire; ma se fosse facile non sarei qui. Mi piacciono le avventure, e questa è la più avvincente. Sostituire Montanelli: è come succedere a Papa Giovanni XXIII con la pretesa di non farlo rimpiangere; o succedere a Pelé con la pretesa di segnare tanti gol quanti ne ha segnati lui. Meglio chiarire subito che ho altre ambizioni, più modeste e, al tempo stesso, più importanti. Vorrei che questo grande Giornale diventasse ancora più grande sia pure con un direttore più piccolo. E con questa redazione sento che ciò è possibile.
Sì, ce la faremo e vi spiego perché. Anzitutto non sperpereremo le preziosa eredità di Indro: l’anticonformismo, l’odio per il pregiudizio e la dietrologia, il rispetto degli avversari, lo scrupolo nel controllo delle notizie, la lealtà nella polemica.
Tutti sanno perché, vent’anni fa, nacque il Giornale: per dare voce a chi non ne aveva o non riusciva a farla udire, soffocata com’era dalle urla di una sinistra becera e dominante che aveva conquistato, occupato e soggiogato ogni organo di informazione. In un’Italia in balia di cortei rivoluzionari, di gente con l’eskimo sulle spalle e sugli occhi; in un’Italia che sembrava irrimediabilmente avviata al partito unico, il solo quotidiano che ebbe il coraggio di opporsi alla spranghe, fu questo. Questo fondato da Montanelli con un drappello di uomini a lui fedeli e fedeli agli ideali liberaldemocratici.
Ricordo gli insulti velenosi che quegli uomini e il loro condottiero dovettero subire da parte dei progressisti in camicia rossa. E ricordo una battuta feroce di Fortebraccio, eccellente corsivista dell’Unità: «Cilindro scrive per le portinaie». Come si vede l’uso della clava nel giornalismo non è stato introdotto - contrariamente a ciò che si tende a far credere - da quelli della mia generazione. Fu introdotto con successo dal principi della penna, gli stessi che oggi rimproverano a noi di alzare troppo la voce e non si rendono conto che una stupidaggine è una stupidaggine, sia che venga gridata sia che venga sussurrata.
Ma nonostante gli insulti e le sprangate, la ragione vinse. Vinse grazie anche e soprattutto al Giornale, che è così rimasto senza nemici avendoli sbaragliati. Apparentemente. Già, apparentemente. In realtà, vent’anni dopo, hanno rialzato la testa. Ovvio, si sono evoluti e risultano quasi irriconoscibili. Hanno smesso l’eskimo, hanno seppellito la spranga, snobbano i cortei. Preferiscono i maglioni di cachemire, discettano di stile e di eleganza, detestano le villette a schiera (in verità un debole per gli attici lo hanno sempre avuto) e esibiscono la poca cultura che hanno come i cani esibiscono la coda, agitandola, a chiunque gli getti un osso.
I nuovi-vecchi nemici hanno cambiato look, hanno studiato il bon ton sui testi di Lina Sotis ma la loro mentalità è quella di sempre. E anche se parlano ogni cinque minuti di liberalismo, quasi che l’avessero inventato loro, puntano oggi quanto allora a trasformare l’Italia in una immensa Usl. Hanno scippato la Rai e la gestiscono come una sezione dell’Arci, poi obbligano i cittadini a ripianarne il deficit. Si proclamano liberisti, ma se a Crotone una fabbrica perde cinquanta miliardi all’anno costringono Ciampi, che è stato ed è loro ostaggio, a tenerla aperta per avere la gratitudine - e i voti - degli operai. Sognano un Paese assistito, un governo che prima investa nelle strutture sociali e poi si procuri, non si sa come, le risorse per pagare le spese.
Insomma, i tempi sono mutati ma i problemi sono gli stessi di vent’anni fa. Ecco perché la funzione del Giornale non si è affatto esaurita. Anzi, mai come ora c’è bisogno di un foglio libero e indipendente, capace di proseguire nella battaglia combattuta da Montanelli per quattro lustri. Una battaglia che, se non soccomberemo, e non soccomberemo, farà prevalere in Italia quelle forze che, pur nella diversità, si riconoscono in alcuni principi: quelli dell’economia dimercato, della meritocrazia, del capitalismo organizzato secondo regole che non schiaccino ma esaltino l’uomo e la sua iniziativa.
E cessiamo di considerare il denaro sterco del diavolo. Senza denaro non si fanno neanche opere di bene. Presto voteremo.
Ci piacerebbe votare per uno schieramento di centro-destra che risparmi agli italiani l’umiliazione di essere governati da chi ieri li ha sprangati per divergenze di opinione. Chiediamo troppo? Forse sì. Ma con il vostro aiuto lo otterremo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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