La bellezza segreta del Carnevale nelle fotografie di Nino Migliori

Cinquanta scatti del grande artista bolognese formano un "arabesco" unico

La bellezza segreta del Carnevale nelle fotografie di Nino Migliori
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Era il giorno dell’Epifania del gennaio scorso, ero a casa di Nino e Marina Migliori per un pranzo concordato e rimandato tante volte e finalmente realizzatosi. Un pranzo curatissimo, condotto con quel senso di ospitalità generoso, elegante, misurato e preciso (parmense, direi), di Marina. Nino voleva sapere cosa bolliva in pentola. E inizio a raccontare loro della mia nuova esperienza con il Carnevale di Viareggio, del mio rapporto con Maria Lina Marcucci, del fatto che iniziavo a entrare in quel mondo da cui mi ero sempre sentita distante ma che stavo iniziando a capire meglio. E che trovavo in quei carri qualcosa di molto cinematografico.
Nino mi ascolta e, con uno scatto felino, ci dice: «Voglio andare a fotografare i carri in preparazione». Io rilancio: «Chiedo a Maria Lina, se è possibile. Ma se è possibile, voglio riprenderti mentre fotografi». Questa mostra alla Gamc di viareggio, il mio film presentato al Festival del Cinema di Roma lo scorso ottobre (Nino Migliori. La festa che rovescia il mondo per gioco), l’opera collage di Nino Migliori (Arabesque) nascono così, con la spudorata vitalità di Nino, e la complicità mia e di Marina, felici di assecondare un bambino curioso. Gli scatti di Nino dedicati al Carnevale vengono dunque presentati per la prima volta a Viareggio, a ricordo della fatale edizione del Centocinquantesimo. È una testimonianza unica, perché Nino Migliori segmenta i grandi carri.
Nino procede in senso inverso rispetto a come si percepisce il Carnevale normalmente. Nino racconta analiticamente, scompone i dettagli che entrano a comporre i grandi carri. Non si lascia abbagliare dall’insieme, segue il proprio sguardo, che si posa sui particolari, mentre il pubblico grida «Wow» nel vedere la dimensione e la grandiosità. E c’è da credere che questo fosse il progetto primario di Nino. Questo intendeva, sornione, quando mi chiese di fotografare i carri in preparazione. Tutti guardano l’intero, ma Nino è andato a vedere l’assemblaggio dei particolari che rende l’insieme, in modo un po’ dispettoso come fosse un bambino a raccontare, nei segretissimi hangar, vietati agli occhi indiscreti prima delle sfilate ufficiali.
In questo assemblaggio c’è il lavoro secolare delle maestranze, degli ingegneri, degli artisti, che si tramanda di generazione in generazione. C’è la materia del Carnevale, la cartapesta e la colla, sorrette da telai meccanici di alta ingegneria. In questi scatti io vedo la grandezza e l’umiltà di Nino, che vuole capire e fare capire, che utilizza la macchina fotografi ca per rendere ancora più vivo l’occhio.
L’opera che riassume questo lavoro è Arabesque, un collage delle foto fatte da Nino, che riprende una tecnica utilizzata già da Migliori in altre occasioni in passato. Ma qui il termine «arabesque» mostra una indicazione precisa. Rimanda alle straordinarie composizioni musicali di Schumann e Debussy: brevi, dal ritmo variegato ed elegantissime, come un arabesco, appunto. Armoniche pur nella varietà e nella differenza. Istantanee che si legano in modo necessario le une alle altre. Ma, parlando di Carnevale, ed essendo coinvolta Maria Lina Marcucci, non posso non citare la colonna sonora ideale per l’Arabesque di Nino Migliori. Certo, andrebbero benissimo Schumann e Debussy, ma scelgo un «arabesque» più recente, più pop, anzi rock (come è, naturalmente, Nino Migliori): quello dei Coldplay, tratto dall’album Everyday Life, del 2019. E il testo è particolarmente adatto al significato dei carri che hanno solcato il Carnevale 2023 e che Nino ha fotografato.

Sono carri che hanno abbandonato la oramai stanchissima, estenuata cronaca politica, e hanno affrontato il tema della guerra, del cambiamento climatico, della solitudine e delle diseguaglianze.

*Presidente della Fondazione Elisabetta Sgarbi.

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