Dürer trovò in Trentino un altro Rinascimento

Il maestro tedesco inseguiva Mantegna e Bellini Trovò paesaggi e città che gli entrarono nel cuore

"Veduta del castello del Buonconsiglio" di Albrecht Dürer
"Veduta del castello del Buonconsiglio" di Albrecht Dürer

Venendo da Folgaria verso Trento ho visto squadrata, da dietro, la montagna su cui sorge Castel Beseno.

Tra le forre il paese umbratile si chiama Dietrobeseno, nome adatto a indicarne la posizione sfortunata rispetto al sole che benedice l’aereo castello.

Ma la montagna, nella sua sobria misura, nella sua semplicità, come, subito sotto, il castello di Calliano, sono così integri e intatti da sembrarci pronti a essere visti non dal nostro occhio, ma da quello di Dürer, che per questi luoghi passò nel 1495 risalendo da Venezia per tornare a Norimberga.

Ci restano di quel viaggio sorprendenti acquarelli che registrano le stesse morbide luci sulle pietre e sui prati che il nostro occhio carezza. Non è cambiato niente.

Alcuni paesaggi come questi ci suggeriscono immagini che Dürer non ha mai dipinto, come Dietrobeseno, e si presentano predisposti per essere visti e tradotti da lui in una sorprendente verità.

Lo stesso occhio che vibra, sotto luci tenui, in tutti gli acquarelli di Dürer, oggi riuniti al Castello del Buonconsiglio a Trento. Sono documenti di emozioni come la più celebre veduta di Arco, dal Louvre: si vedono il castello con la rupe che sovrasta la città murata e le campagne intorno, fissando in modo indelebile i segni distintivi di un paesaggio che ancora oggi ci appare come Dürer lo restituisce. Con assoluta precisione Dürer illustra i dettagli architettonici della città e ne afferma l’importanza politica, il significato storico, l’ambiente naturale, il valore simbolico. A più di cinquecento anni di distanza, la luce che si diffonde nella vallata è ancora quella dal tono dorato che il maestro di Norimberga ha consegnato alla storia. La rupe si alza ancora imponente nel paesaggio.

In basso gli ulivi in un campo coltivato. Fra gli alberi che si inerpicano si vedono case e torri, ora come allora, e la cinta di mura merlate intorno al piccolo borgo che si affaccia sulla valle, con tutti i suoi abitanti nel chiuso delle case.

Dürer visitò la cittadina gardesana e probabilmente anche Salò di ritorno dal suo primo viaggio in Italia (1494), che decise per conoscere da vicino le novità artistiche del Rinascimento italiano, curioso soprattutto di Mantegna e di Giovanni Bellini. La sua meta principale fu Venezia e di lì si spostò probabilmente verso altri centri del nord Italia, Padova, Verona, Mantova. Ma il Trentino stimolò il suo cuore. Nella mostra di Trento rivive intatto lo stesso castello del Buonconsiglio nell’acquarello con le case che lambiscono le mura e le torri, a testimoniare una vita semplice, rispetto a quella dei principi vescovi fino a Bernardo Cles. Ma Dürer è curioso dell’impalpabile, del segreto dell’aria e delle pietre che osserva nello Studio di capanna e di pietre, dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana, quasi inconsistente nel tocco fino all’apparire di un profilo femminile in un mosaico di pietre. Dürer dipinge l’aria, la luce, il sole; e si ferma a riposare in altro angolo ameno, lontano da tutto, ammirato da un frondoso albero entro il quale sembra emergere tra le foglie un obelisco, in un altro acquarello dall’Ambrosiana. Dürer entra nella natura, la respira come se volesse coglierne una essenza misteriosa e arcana.

Nulla appare mutato, rispetto alla realtà che ne coglie, in alcuni tratti della Val di Cembra, vista da un punto di osservazione rialzato con un villaggio lontano sullo sfondo. Così incontra, nel suo cammino, il castello di Segonzano nella valle, e gli gira intorno, lambendo il torrente Avisio. Gli piace sentire che il castello prolunga le ispide rocce per mostrarsi irraggiungibile e inespugnabile. Sono appunti di viaggio, senza stupore e senza meraviglia. Come nella nuda e disadorna veduta di Trento, dalla Kunsthalle di Brema, non una città ma un paese affacciato sull’Adige. Silenzioso, grazie a un equilibrio fra il cielo e il fiume in una bolla di nuvole e di fronde verdi. Ben prima della Tempesta di Giorgione, il paesaggio di Dürer è uno spazio interiore. Trento oggi è cambiata, ma il suo spirito resta quello, come se Dürer ne avesse colto una natura profonda. Ed essa si risente nell’area del colle noto come Doss Trento con la chiesa di Sant’Apollinare nel borgo inalterato di Piedicastello. Dürer proseguì il suo cammino verso nord senza altre significative interruzioni. Documento di questa fase del viaggio è il Mulino ad acqua in montagna dei musei di Berlino. Mentre gli altri acquarelli raffigurano città o complessi architettonici in lontananza, questo foglio quadrato di soli 13 centimetri di lato deriva dall’osservazione ravvicinata di un pendio pietroso inondato dall’acqua che dai canali di legno scende sulla ruota del mulino e si cerca una via tra le pietre, per raccogliersi infine in un bacino sabbioso in primo piano.

Anche la veduta della cittadina di Chiusa sull’Isarco, trasferita nell’incisione su rame Nemesi (o Grande Fortuna), doveva essere un appunto di viaggio ad acquarello. Qui, come a Trento e ad Arco, Dürer ha preso coscienza dello spirito della città. Ritrovarne l’anima nei suoi acquarelli è una esperienza rara e intensa che mette in relazione la percezione della esperienza artistica e quella della identità trentina di cui non troviamo l’eguale in artisti locali. Certo presenti in mostra, come si vede nel mirabile paesaggio (sempre di Arco) nella Madonna con il Bambino di Francesco Morone: ma quella rocca e quelle montagne non sono Trentino, sono luoghi celesti, metafisici, dove l’anima si innalza e trasfigura, letteralmente, in un ciel d’oro. Anche i paesaggi di Marcello Fogolino sono montagne lontane o eremi perduti senza nessuna identificazione con luoghi reali.

A intendere quanto profondo fosse lo spirito dei luoghi di Dürer, senza alcun atteggiamento (e lo vediamo anche nei paesaggi delle incisioni) basta il confronto con l’ampio paesaggio del Congedo degli Apostoli di Bartlmä Dill Riemenschneider di cinquant’anni dopo, dove la realtà è trasfigurata in una dimensione irreale e sorprendente, lontanissimo dal vero. Qui non c’è più lo spirito della montagna, ma lo stupore, il teatro del miracolo. A Trento e nel Trentino Dürer si sentì a casa. E ce ne trasmette l’emozione.

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