Pablo Atchugarry, il gigante del marmo che mette le ali alle sue opere

L'artista uruguaiano, in una intervista esclusiva a ilGiornale.it, racconta il suo rapporto con l'Italia e con l'arte. E molto altro ancora

Pablo Atchugarry, il gigante del marmo che mette le ali alle sue opere

Un metro e novanta di altezza. Una semplice maglietta, bianca come i puntini di polvere di marmo stampati sul volto. Pablo Atchugarry è un gigante buono che ti accoglie nel suo laboratorio di Lecco mentre stava lavorando un blocco di 30 tonnellate. Frullino, flessibile, dischi diamantati, martello, scalpello sono gli attrezzi del mestiere di una vita.
Una vita intrisa esclusivamente di arte. Nel 1979 a Carrara la sua prima scultura in marmo intitolata La Lumière. Nel 2002 riceve il Premio Michelangelo per la carriera e l'anno dopo rappresenta l’Uruguay alla 50esima Biennale di Venezia. In tutto il mondo sono state realizzate mostre dedicate alle sue opere. La sua fama lo precede, ma davanti a lui si scorge solo tanta umiltà.

Chi è Pablo?

"È un uomo che ha dedicato la sua vita all'arte e ha avuto la fortuna di scoprirla da bambino grazie ai suoi genitori".

Età?

"Quest'anno ad agosto compio 69 anni".

Prima mostra?

"Avevo 11 anni, in Uruguay".

Achtugarry

Ma cosa vuol dire dedicare una vita all'arte?

"Vuol dire pensare, riflettere, agire e vivere veramente l'arte come protagonista nella vita".

Cos'è per lei l'arte?

"Un modo di vivere, è lasciare il segno più profondo che ha l'essere umano, cioè la creatività. E la creatività attraverso l'arte riesce a dare un segno e un significato alla vita".

Se dovesse definirsi come artista, che etichetta si darebbe?

"Io sono partito con la pittura, poi col cemento, poi ho scoperto il marmo ed è stato come scoprire il vero amore. E poi adesso ho scoperto il mondo del bronzo, quindi questo viaggiare attraverso materiali perenni, che hanno una durabilità nel tempo e che non sono effimeri, mi fa pensare che il mio messaggio di vita potrebbe durare a lungo".

Achtugarry

Gliela do io l'etichetta allora: un artista eterno...

"Me lo auguro. Un po' come quando ricordiamo gli artisti dell'antichità, del Rinascimento, del periodo classico greco e li immaginiamo ancora quasi vivi tramite le loro opere".

La sua musa ispiratrice?

"La natura. Il grande sforzo che deve fare l'umanità è abbracciare la natura e capire che noi proveniamo da essa e che dobbiamo tutelarla, custodirla e amarla".

Come descriverebbe le sue opere?

"Sono opere che si sviluppano in modo verticale e rappresentano un po' i sogni dell'essere umano e i sogni non hanno limite né confini e hanno le ali per volare. L'essere umano secondo me è chiamato a realizzare i propri sogni e per farlo deve volare con l'immaginazione".

La prima cosa che fa quando inizia un'opera?

"Io parto molto dal materiale. Quando ne vedo uno che mi stimola, può essere anche un blocco informe, inizio a pensare e a lavorare. Per esempio uso molto lo statuario di Carrara, un marmo trasparente e luminoso".

È il suo materiale preferito?

"Senza dubbio".

E poi inizia a lavorarlo. Fa tutto da solo?

"Definisco la forma completamente da solo e poi a un certo momento intervengono gli aiutanti per quello che è la levigatura e la finitura dell'opera".

Se non fosse stato un artista?

"Eh, sarebbe stato un grande problema però per fortuna ho scoperto di avere questa vocazione in giovane età e per questo credo tanto nel fatto che vengano stimolate le nuove generazioni affinché possano scoprire il cammino della creatività spesso nascosto".

Cos'è per lei l'Italia?

"Quando avevo 11 anni a scuola, in Uruguay, ci diedero come compito di raccontare un paese dell'Europa. Io scelsi l'Italia e parlai in classe del lago di Como e del marmo di Carrara. Oggi abito sul lago di Como e lavoro il marmo di Carrara. L'Italia per me è vita, cultura, è calore. Mia nonna paterna era di un paesino dell'entroterra savonese e il mio secondo cognome è Bonomi, cognome lombardo, quindi c'è sempre stata una linea di sangue".

E l'Uruguay?

"Vado una volta l'anno, a volte due e passo lì quello che è l'inverno europeo. Io faccio un po' una vita da pendolo, un pendolo che oscilla e, attraverso l'Atlantico, unisce le due rive dell'oceano, le Americhe e l'Europa. Sono come le due sponde del mio universo".

Achtugarry

La prima opera che ha realizzato. Che ricordi ha?

"Non ricordo le prime pitture perché avevo otto anni, ma ricordo le prime sculture in cemento: avevo18 anni. Era affacciarsi a un mondo sconosciuto ma che mi dava tanta gioia. E continua a darmene tanta".

Che valore ha il denaro per lei?

"Per me il denaro non è mio, non è di nessuno. Il denaro è un mezzo per realizzare delle cose, dei progetti. Sono i progetti che contano. Come la fondazione in Uruguay, come i progetti educativi in Italia per dare la possibilità ai ragazzi di conoscere un po' loro stessi attraverso l'arte".

Qui ce n'è tanta.

"L'Italia è un paese privilegiato, si parla del 60% del patrimonio artistico mondiale. Bisogna fare un lavoro capillare sulle giovanissime età, portarle ai musei, a visitare le bellezze delle città per far capir loro che questo è un posto che è stato toccato da una bacchetta magica, un posto unico nel mondo".

Non è facile avvicinare i giovani di oggi all'arte

"Non tutta la realtà è in un cellulare, bisogna andare a cercare la realtà stessa quindi viaggiare, toccare con mano, vedere la Cappella Sistina sul cellulare non è lo stesso che vederla dal vivo, sentirne l'odore e capire di esserci. I giovani devono scoprire che la realtà è più bella della la traduzione della verità".

Se un giovane venisse nel suo laboratorio e non capisse la sua arte lei come gliela spiegherebbe?

"Io penso che le mie opere possano servire a lui come uno stimolo, però la vera opera è quella che lui deve scoprire dentro di sé. Forse una mia opera lo può aiutare a scoprire qualcosa che è dentro di lui, un seme che è dentro ma che ancora non è germogliato".

Tutta l'arte ha dignità?

"Sì, perché tutta l'arte è diversa perché tutti noi siamo diversi. Abbiamo tutti un'impronta digitale diversa, un DNA diverso e dobbiamo rispettare le diversità".

Pablo Atchugarry e Mercedes

La più grande difficoltà che ha avuto nella vita?

"Di non essere capiti".

Le è capitato di non essere soddisfatto di una sua creazione?

"Eh, bisogna mantenere una purezza interiore e sapere che ogni oggetto che uno fa lungo la vita è giudicabile. Bisogna rispettare il proprio percorso. Quindi grazie a quell'opera che oggi magari non apprezzo sono riuscito a raggiungere dei traguardi, ogni momento è una tappa".

Si aspettava di raggiungere questo successo?

"No, non me l'aspettavo".

Ma se non fosse arrivato?

"Avrei continuato a fare l'artista. Il cammino non si cambia, fa parte del nostro percorso personale, l'importante è dare il massimo di se stesso ed essere anche il giudice di se stessi".

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica