Atleta afghana fugge Il Cio di Kabul: «Genitori in galera»

Fuga in cerca di asilo politico, rapimento degli estremisti islamici, genitori minacciati di venir sbattuti in galera per far tornare a casa l’atleta scomparsa: sono i tasselli di un giallo in salsa afghana. La misteriosa vicenda inizia nel centro di preparazione olimpica di Formia, da dove è sparita nel nulla Mahbooba Ahadgar. L’unica donna dello sparuto gruppo di atleti afghani che parteciperà alle Olimpiadi. Mahbooba ha solo 19 anni ed è costretta a correre in tuta e con il velo per non infastidire i conservatori islamici del suo Paese. Assieme ad altri atleti di Paesi in difficoltà era arrivata al centro del Coni di Formia per allenarsi in vista delle Olimpiadi. Mahbooba corre gli 800 e i 1500 metri e non potrebbe mai sperare in una medaglia. Però stava diventando il simbolo di un Afghanistan libero dai talebani, che porta una donna addirittura a Pechino. Un oltraggio per i talebani, ma la faccenda dava fastidio pure agli oscurantisti dell’Islam che si annidano nel nuovo potere afghano. Non a caso ha ricevuto minacce, dopo che giornali e televisioni avevano pubblicato le immagini di lei che corre fra le povere case in fango e paglia della periferia di Kabul.
Un mese fa la sua foto, nei meeting di atletica di Roma e di Avellino, era un simbolo di speranza e libertà del nuovo Afghanistan. In patria, però, i pregiudizi non mancavano. Il padre, un carpentiere con nove figli, era finito in carcere, perché la gente pensava sfruttasse la figlia come prostituta. In realtà gli «infedeli» che andavano a trovarla sempre più spesso a casa erano giornalisti occidentali interessati al suo caso. Il 4 luglio Mahbooba Ahadgar sparisce nel nulla da Formia. Sul primo momento si teme un rapimento degli estremisti islamici, perché l’atleta afghana, anche in Italia, si era detta «orgogliosa di partecipare alle Olimpiadi». Si sentiva «un modello» per il suo Paese «essendo una donna in una nazione musulmana». Ogni tanto mandava qualche giusta frecciata: «Come donna islamica ho delle proibizioni che rendono difficile partecipare attivamente allo sport». In ogni caso nessuno sospettava una fuga.
L’uzbeko Viktor Kuzin, accompagnatore degli atleti, ha denunciato la scomparsa ai carabinieri di Formia. Poi si è scoperto che il passaporto della Ahadgar, custodito nella stanza di Kuzin assieme a quelli degli altri, era sparito. Anche i bagagli della giovane afghana non c’erano più. La pista della fuga è diventata sempre più plausibile, tenendo conto che il passaporto aveva un visto Schengen, che le permette di viaggiare in mezza Europa. «Con lei ha anche un cellulare. Alla polizia italiana abbiamo dato il numero per seguire le sue tracce» rivela al Giornale Nick Davis, portavoce della Iaaf, la federazione internazionale di atletica, che ha organizzato con il comitato olimpico afghano l’arrivo a Formia. Gli altri atleti sono ripartiti lunedì per Kuala Lumpur. Mahbooba ha preferito scappare e rinunciare alle Olimpiadi. Martedì scorso si sarebbe fatta viva con i parenti dicendo che non tornerà a Kabul.
Secondo la madre di Mahbooba la figlia è ancora in Italia. Il Times di Londra ha scritto che cerca di raggiungere la Norvegia, dove vive una cospicua comunità afghana. La giovane atleta vuole chiedere asilo politico, probabilmente impaurita dalle minacce ricevute in patria. O è solo alla ricerca di una vita migliore. A Kabul, Anwar Jagdalak, presidente del Comitato olimpico, è inferocito per aver perso la sua star. L’unica donna della piccola squadra afghana per Pechino.

Ex comandante dei mujaheddin durante la guerra contro gli invasori sovietici, sembra che non vada per il sottile. Secondo il quotidiano britannico Independent la famiglia è stata minacciata di finire in galera se Mahbooba non torna. Una vecchia usanza tribale, sempre in voga in Afghanistan.
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