ATTENTI A OBAMA

L'innamoramento italiano per Obama evidenzia degli aspetti interessanti della politica e in particolare di alcuni esponenti del nostro governo. Alcuni ministri (Bondi e Gelmini, tra tutti) hanno reso pubblica la propria cotta. Ha ragione Fiamma Nirenstein oggi sul Giornale quando scrive che il sentimento è originato «dall’illusione di vivere il consenso» del politicamente corretto. Con ciò però cadono in una trappola micidiale. Sposano un’idea di novità senza conoscerne i contenuti: sono affascinati da quella piazza mediatica che proprio contro di loro oggi è alimentata.

Una sorta di sindrome di Stoccolma, in cui i prigionieri del consenso si armano contro se stessi. Lo sanno inoltre costoro che Obama (con i limiti di un candidato americano) chiede di fatto l’aumento della pressione fiscale? Propone un maggiore protezionismo? Considera l’Europa marginale tra i dossier di politica internazionale? Non vuole la costruzione di nuove centrali nucleari, a differenza di McCain che ne richiede 45 entro il 2030? Edward Prescott, premio Nobel per l’economia del 2004, ha rifiutato di entrare nel panel di economisti di Obama con queste parole: «Sapete perché l’Europa è così depressa rispetto agli Stati Uniti? Perché segue le politiche che Obama sta proponendo». Gli Stati Uniti hanno oggi un grande problema di immagine: sono all’origine della crisi finanziaria globale e sono impegnati in difficili fronti di guerra. L’Economist, che tifa Obama, parla del rischio di associare il capitalismo americano alla Lehman Brothers e la sua giustizia a Guantanamo. E Obama può rappresentare uno strumento perfetto per sganciarsi da questa rappresentazione.

Chi è vittima di queste semplificazioni di piazza dovrebbe avere un certo intuito nel cogliere la forza della propaganda. McCain, come ha ben ricordato Antonio Martino, si è battuto come un leone per ridurre l’influenza di quelle due agenzie governative (Fannie e Freddie) che hanno alimentato la bolla speculativa sui mutui subprime. E ancora.

McCain ha fortemente voluto l’aumento delle truppe in Irak, premessa per il possibile disimpegno di domani. Il fatto che Obama sia strafavorito non è una buona ragione per innamorarsene.
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