«Ho ammazzato la mia fidanzata, ho vagato questi giorni perché cercavo di farla finita, ho pensato più volte di andarmi a schiantare contro un ostacolo ma non ho avuto il coraggio di farla finita». Queste le prime frasi di Filippo Turetta agli investigatori che lo hanno trovato a fari spenti sulla corsia di emergenza dell'autostrada Berlino-Monaco, con i vestiti e la macchina ancora intrisi del sangue della povera Giulia Cecchettin. Nicola Turetta non sa darsi una spiegazione plausibile sul perché questo figlio, mai violento, possa aver commesso un delitto tanto efferato e ipotizza gli sia scoppiata una vena nella testa. Purtroppo, per padre e figlio, non sussistono condizioni morbose idonee a influire sulla sua imputabilità. Le sue vene sono integre mentre gli stati emotivi e passionali che lo hanno sconvolto non escludono né diminuiscono l'imputabilità.
Non ha avuto il «coraggio» di uccidersi e nemmeno di costituirsi perché Filippo è come un bambino che ha rotto il suo giocattolo preferito e non sa come ripararlo e allora si ferma al buio e aspetta che qualcuno lo faccia per lui. L'unico segnale che secondo la famiglia è stato trascurato riguarda un orsacchiotto con cui Filippo dormiva e che per lui rappresentava Giulia. I segnali è impossibile siano mancati e con molta probabilità i suoi genitori non sono stati in grado di interpretarli.
Il senso di possesso che Filippo aveva nei confronti di Giulia non è una reminiscenza maschilista, non è dovuta alla società patriarcale oggi sotto accusa, ma alla capacità del ragazzo-bambino di fare i conti con la realtà e di adeguarsi senza entrare in una crisi che non poteva risolvere senza l'aiuto di un esperto. Un bambino a cui si vuole sottrarre, per lui ingiustamente, l'oggetto d'amore, subisce una ferita al suo narcisismo onnipotente che può fargli scoppiare, non una vena, ma la mente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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