Caro Walter,
mi parli di una sorta di «guerra tra poveri», passami l'espressione forse infelice, la quale tuttavia descrive bene questo clima di antipatie, di invidie, di gelosie tra detenuti. Del resto, il carcere non è che un riflesso del mondo che c'è al di là delle sbarre e come questo è una giungla, dove in qualche maniera occorre sopravvivere, sopportando oltretutto un fardello talvolta insostenibile, ossia la sospensione o la perdita della libertà personale in seguito ad una intervenuta condanna. Tale fatto, tuttavia, non può né deve comportare la sottrazione di quei diritti inviolabili di cui gode pure il recluso in quanto essere umano. E questo spiega le numerose condanne subite dall'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'Uomo per il trattamento inumano e degradante riservato ai ristretti nonché per l'inadeguatezza delle cure sanitarie in carcere.
Da italiano non posso fare a meno di ammettere che mi vergogno del nostro sistema penitenziario, dove non solo i detenuti ma anche gli agenti di polizia penitenziaria patiscono un disagio esistenziale che troppo spesso sfocia nel suicidio. E allora mi chiedo: come può lo Stato essere credibile allorché pretende il rispetto della legalità se contestualmente esso stesso si macchia di gravi inadempienze e crimini? I nostri istituti di pena sono vecchi e fatiscenti, mancano i servizi essenziali, si protesta in quanto manca l'acqua calda e si risponde che non è un diritto dei detenuti godere della possibilità di fare una doccia come si deve, senza congelare. Si sta ammassati in celle che potrebbero accogliere al massimo due individui. Manca la possibilità di ricevere un trattamento di rieducazione, manca la possibilità di lavorare, manca il riscaldamento, manca l'aria condizionata, cosicché in inverno si soffre il gelo e in estate l'afa. Queste condizioni sono forse corollario della pena? No, assolutamente, tanto più quando essa è prevista in funzione rieducativa e non meramente punitiva. Ed ecco che togliersi la vita diviene l'unica chance per uscire dall'inferno. Siamo colpevoli tutti, perché di quello che accade lì non ci curiamo affatto, o peggio, riteniamo, a torto, che chiunque sia in carcere abbia sbagliato e debba pagare, tanto che si usano espressioni come «marcire in cella», «gettare via la chiave», retaggio di un'epoca che dovrebbe essere lontana ma che si ripropone con i suoi rigurgiti di giustizialismo e di odio. Siamo barbari e incivili.
Cambieranno le condizioni dei detenuti? No. Non sarà la politica ad intervenire. Potranno fare qualcosa i direttori delle carceri stesse, che talvolta sono riusciti, grazie alla loro sensibilità e all'amore per il loro lavoro, a trasformare alcune realtà in realtà virtuose, dando speranza a persone che l'avevano persa per sempre. Il carcere di Bollate è una di queste realtà. Ho donato un cavallo a questo istituto, affinché i detenuti potessero trovare sollievo nel prendersi cura di un essere vivente. A volte mi capita di recarmi a pranzo presso il carcere di Bollate, che ha un ristorante gestito dai reclusi, il cui nome è molto divertente, «In galera». Certo, è divertente quando sai che sei lì solo di passaggio, il tempo di desinare, non per camparci notte e giorno.
Caro Walter, condivido ogni tuo pensiero e comprendo la rabbia che esprimi. Tuttavia, permettimi di compiere qualche osservazione, per la quale mi auguro tu non ti offenda. Chico Forti non è un privilegiato. È un cittadino italiano che ha trascorso venticinque anni della sua esistenza all'interno di un carcere americano in cui la vita è ancora più dura rispetto a quella che tu hai conosciuto dentro le carceri italiane. Il diritto di estradizione gli è sempre stato negato finché non è intervenuto questo governo, che, grazie alle buone relazioni internazionali tessute con grande impegno dalla premier Meloni, è riuscito in una impresa che pareva impossibile: riportare Chico Forti in patria. Forti non vedeva sua madre da anni e anni, consentirgli di incontrarla non è stato un privilegio né una concessione, trattasi di un diritto sacrosanto di Forti. La signora è molto anziana, quindi è stato permesso a Chico, dopo anni e anni, lo ripeto, di andare dalla madre per qualche ora, madre dalla quale è stato lontano, trovandosi oltreoceano, per decenni. Vuoi davvero prendertela con Forti e i suoi presunti privilegi? Dovresti guardare a Chico come a un detenuto come te, ognuno con il suo personale percorso di dolore. Per quanto riguarda le accuse mosse a Forti da un soggetto mafioso, il quale non gode di nessuna credibilità, mi guarderei bene dal darle per veritiere e scontate. Penso che esse abbiano tratto origine dallo stesso sentimento di invidia e di rabbia che anima te, per il quale non ti giudico, sia chiaro. Si voleva danneggiare Chico in quanto lo si vedeva come detenuto privilegiato. C'è una inchiesta in corso, aprirla era doveroso, chiuderla lo sarà altrettanto. Un buco nell'acqua, utile soltanto ad amareggiare ancora di più un uomo già profondamente segnato. A che serve tutto questo odio? Insomma, la vita è dura per tutti. I detenuti non dovrebbero combattersi tra loro ma essere consapevoli di essere tutti sulla stessa barca. Lo ribadisco: non credo ad una sola sillaba di quelle pronunciate dal recluso implicato con i clan il quale sostiene che Forti gli avrebbe chiesto di fare intervenire la 'ndrangheta per zittire Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli. Chico confidava nella semilibertà, di cui anche tu stai godendo e di cui egli non ha mai goduto negli USA, aveva recuperato questa speranza e, con tutto quello che ha patito, cosa diavolo volete che gliene freghi se Travaglio e Lucarelli lo definiscono «assassino»? Il risultato? Per accuse senza prove nate dal racconto di un personaggio «abile» nel fingere, come lo definiscono i magistrati stessi, i giudici di sorveglianza hanno sospeso il diritto di visita, ovvero Chico non potrà vedere e nemmeno sentire nessuno finché l'indagine non sarà archiviata.
Per quanto riguarda Bozzoli, non conosco le ragioni che hanno indotto i giudici a
ritenere che il carcere di Bollate sia il più idoneo per lui. In ogni caso, il problema, caro Walter, non è Bozzoli né Chico. Il problema è che le nostre carceri sono inumane e l'esistenza all'interno insopportabile per tutti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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