Subire un grave lutto non rende un modello

So di questi commenti che sarebbero stati fatti dal profilo social di Gino Cecchettin negli anni passati. Nessuno osa parlarne, in quanto ormai Gino ha quest'aura sacra. Non lo giudico per questo

Subire un grave lutto non rende un modello

Direttore Feltri,
domenica sera ho assistito all'intervento di Gino Checchettin su Canale 9, ospite di Fabio Fazio. Ci tengo a puntualizzare che non nutro alcun sentimento negativo nei confronti di quest'uomo, che ha perso la figlia, peraltro in una maniera così traumatica. Giulia è uscita e non è più tornata a casa, è stata sequestrata e ammazzata dal suo ex fidanzato, il quale non aveva dato segni evidenti di pericolosità, tanto che la stessa Giulia si sentiva al sicuro con lui, o almeno non lo temeva. Ecco, come le dicevo, sono vicino ai familiari della ragazza, ma non capisco perché gli italiani dovrebbero essere educati all'affettività da un signore qualunque solo perché questi ha subito questa tragedia, e il quale, sui social, a quanto pare, fino a poco tempo fa, usava fare commenti volgari e sessisti alle donne, cosa non smentita dallo stesso Cecchettin, quindi dobbiamo concluderne che il profilo recante il suo nome e la sua immagine sia reale e gli appartenga. La sua partecipazione alla trasmissione di Fazio, a mio giudizio, aveva questo scopo: oltre alla evidente celebrazione di quest'uomo, di cui lei stesso, direttore, ha sottolineato nella sua lettera di oggi l'inconsistenza, si mirava a fornire consigli ai maschi italiani sul comportamento da adottare con le compagne, le mogli, le partner, diffondendo l'idea che, come ha detto Cecchettin, pure l'espressione «la mia donna» sia segnale di una mascolinità tossica, indice di una mentalità patriarcale, di una volontà di sottomissione e possesso della donna. Cecchettin l'ha definita «espressione non innocua», parlando di patriarcato. Ma io chiamo mia moglie «la mia donna», mia moglie, a sua volta, mi considera e mi definisce «il suo uomo». La prego, mi spieghi lei, cosa ci sia di sbagliato in tutto questo? Sono forse un maschio pericoloso quando chiamo la madre dei miei figli «la mia donna»? E può un uomo che ha avuto comportamenti quantomeno discutibili sui social essere reputato una sorta di faro per il nostro genere per illuminarci sulla condotta da tenere nei confronti del sesso opposto?
Renato Cortese

Caro Renato,
so di questi commenti che sarebbero stati fatti dal profilo social di Gino Cecchettin negli anni passati. Nessuno osa parlarne, in quanto ormai Gino ha quest'aura sacra. Non lo giudico per questo. È stato un atteggiamento goliardico, anche volgare, persino inopportuno, ma non definisce egli stesso come uomo o persona. Certo è che è alquanto imbarazzante che il nuovo simbolo della sinistra nell'ambito della lotta al patriarcato (che non c'è) abbia sulla rete ciarlato di posizioni sessuali, sue performance personali tra le lenzuola, tanga, mani nelle mutande e roba simile. Cecchettin non ha smentito che il profilo, che è stato chiuso e rimosso, sia riconducibile proprio a lui. Quindi, come tu dici, dobbiamo presumere che, in effetti, sia stato proprio egli l'autore di certe battutacce fin troppo spinte. Reputarlo una cattiva persona per questo trovo che sia estremo, anche ingiusto. A prescindere da questa condotta, io penso che Gino Cecchettin, così come sua figlia Elena, meritino comprensione e compassione per quello che stanno vivendo, ma non per questo meritano di diventare pensatori insindacabili che sentenziano sul maschio, sul patriarcato, sulla società, e così via. Alcune argomentazioni così come alcune parole di questo signore mi hanno sorpreso. Egli sostiene che l'espressione «la mia donna» sia «non innocua», dunque pericolosa, preoccupante, sintomatica magari di una personalità tendente al possesso, al dominio, all'omicidio addirittura. Eppure io trovo che sia una espressione tenera, carica di amore e non devi sentirti in colpa se la adoperi nei confronti della tua signora. A furia di fare questo terrorismo nell'uso di certi termini, finiremo con l'inibire gli uomini che già temono di utilizzare talune frasi, o taluni nomignoli o sostantivi. Viviamo con il terrore di essere fraintesi, accusati, travisati. Questa paura si traduce in un congelamento dei rapporti tra uomo e donna, una sorta di sterilizzazione, di distacco che si sta imponendo tra i sessi. Il senso di appartenenza come quello di possesso non sono qualcosa di inconciliabile rispetto al sentimento d'amore, tutt'altro. Gli amanti da sempre si appartengono e desiderano appartenersi, questa si chiama passione, componente essenziale dell'amore romantico. Una donna innamorata vuole essere dell'uomo che ama, così come un uomo innamorato vuole essere della donna che ama. L'amore si realizza e si amplifica anche in questa fusione. Sciocco pensare che tale benevolo sentire, tale istinto, insomma, sfoci e degeneri automaticamente in dominio, schiavitù, assoggettamento, coercizione, violenza, controllo, elementi antitetici all'amore. Gino Cecchettin non mi sembra esperto di sentimenti. Ma viene applaudito e glorificato per certe dichiarazioni che nessuno osa contestare, nonostante siano boiate pazzesche. Le sue parole sono oro colato per quelle risicate masse di sinistra che non aspettano altro che qualcuno corrobori i loro pregiudizi ideologici, i loro stereotipi di genere, le loro schizofrenie del pensiero conformato. Gino è perfetto: parla di patriarcato, senza saperne nulla, come egli stesso ammette, parla di linguaggio sessista, che pure pare non abbia disdegnato in passato, consiglia ai maschi di dire spesso alle compagne non «ti voglio bene» bensì «ti amo», come se un «ti voglio bene» fosse «un pugno in faccia», ripete una sfilza di stucchevolezze che ti domandi come possa un essere umano costituire un tale concentrato di frasi-fatte.

Eppure egli incarna un modello, il modello antipatriarcale, il modello positivo di mascolinità, da emulare, da prendere come esempio. Anche se non ne comprendiamo affatto il perché. Che stia patendo un lutto atroce non è motivazione sufficiente.

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