Il 25 aprile in piazza è soltanto folklore

La festa della Liberazione è ogni anno l'anticipazione del gay pride, che si tiene poco dopo, una festicciola sempre più folcloristica che diviene occasione per attaccare la destra

Il 25 aprile in piazza è soltanto folklore
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Caro Vittorio,
perché, se ne è l'80° anniversario, il prossimo 25 Aprile dovrebbe essere più importante del 79° passato o dell'81° futuro? Anche se qualcuno la potrebbe prendere come una provocazione, e a prescindere dal fatto che siano o vengano considerate erroneamente di sinistra la Resistenza, l'antifascismo, la Costituzione o quant'altro su cui si fonda la nostra Repubblica, il nostro passato non dovrebbe smettere di finire continuamente nel tritacarne del rinfaccio? Cosa che però puntualmente accade ad ogni ricorrenza di questa data. E non solo per responsabilità di chi viene tacciato di essere ancora «fascista» o «neo» o «antianti». Perché l'enfasi è l'anticamera della retorica e la retorica finisce con il divenire lo sgabuzzino di qualunque verità. Anche di quella più vera!

Mario Taliani

Caro Mario,
siamo un po' in anticipo nel parlare del 25 aprile, prima ci sarebbe la Santa Pasqua, che ricorre il 20 di questo mese. Ad ogni modo, condivido le tue considerazioni. La festa della Liberazione è ogni anno l'anticipazione del gay pride, che si tiene poco dopo, una festicciola sempre più folcloristica che diviene occasione per attaccare la destra sia quando è al governo sia quando è all'opposizione, in pieno stile democratico. Ma non solo, essa è una opportunità anche per sfogare rabbia e violenza in nome di un nobile antifascismo che viene difeso con la clava e con il martello e al quale la sinistra si attacca non avendo altri argomenti e argomentazioni da opporre agli avversari politici, definiti «fascisti» dai progressisti allo scopo di malfamarli e nella speranza di guadagnare così qualche voto, un pugno di consensi, cosa che non avviene mai. Anzi, più la sinistra insiste con questa narrazione terroristica relativa al ritorno della dittatura, più essa perde credibilità e simpatie.

Siamo tutti stufi di questo copione. E il 25 aprile verranno dette e ripetute le solite corbellerie, pioveranno le accuse consuete, verranno urlati gli abituali slogan contro Meloni. E magari riappariranno le scritte vergognose fatte sui muri la scorsa settimana, quando, a Milano, qualcuno, durante un corteo antifascista e pro-Hamas, ha vergato: «Spara a Meloni». E perché non impiccarla?

Questa sagra paesana che poi degenera in scontro diretto con rappresentanti e servitori dello Stato, ossia con le forze di polizia, divenute settimanale bersaglio prediletto della violenza rossa, è sempre più ridicola. Non si tratta di una celebrazione nazionale, ma della festicciola delle bandierine rosse e ora pure arcobaleno e palestinesi, che non so cosa ci azzecchino con la storia italiana.

Si scende in piazza per festeggiare la fine del regime fascista, la morte del fascismo, l'abbattimento di Mussolini, ma se il fascismo è defunto, perché mai l'antifascismo deve ancora romperci i coglioni e restare in vita e per quale ragione, soprattutto, se festeggiamo il suo decesso, ogni dì i progressisti ci mettono in guardia dal pericolo fascista incarnato dalla premier e dalla sua maggioranza?

Quante contraddizioni e quanta ipocrisia!

Dal fascismo ci siamo liberati, sì. Ma mi domando quando ci libereremo del comunismo strisciante che alberga nell'animo e nella mente di gente che, pur proclamandosi «democratica», calpesta i valori fondativi dello Stato di diritto, pur dichiarandosi contraria al linguaggio dell'odio e alla violenza, adotta metodi squadristi e non condanna le minacce alla leader di Fratelli d'Italia, pur declamandosi contraria alla guerra e al riarmo, ricorre all'uso di sassi e sputi e al lancio di altri oggetti contro le forze di polizia.

Sarà l'ennesima scusa per intonare cori contro Trump, Musk, Salvini, Meloni, fascisti vari ed eventuali, inframmezzati da qualche Bella ciao.

Questo e nient'altro che questo è diventato il 25 aprile.

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