Le mille vite del Generale Lee, l’auto più famosa della tv

Poche auto sono così riconoscibili come l'auto arancione con le portiere saldate, la bandiera sudista sul tetto e il clacson irridente che ogni settimana volava sopra tutto e tutti nella serie TV "Hazzard". Il Generale Lee ha una storia affascinante, tanti aneddoti curiosi, un esercito di appassionati ma è entrata suo malgrado nel mirino della "cancel culture"

Le mille vite del Generale Lee, l’auto più famosa della tv

Più che passano gli anni, più che date, eventi e ricordi sembrano diventare tutti uguali, confondersi in una melassa indistinguibile. Il mese scorso, ad esempio, è stato l’anniversario di un evento fermamente impresso nella memoria di tutti coloro che, negli anni ‘80, passavano buona parte delle loro giornate davanti alla televisione. L’11 novembre 1978, uno stuntman sul set di una serie televisiva realizzò il primo dei tanti salti che diventarono la passione di piccoli e grandi. Non lo sapeva ancora ma quei 25 metri a 5 metri di quota che portarono la sua Dodge Charger del 1969 a sorvolare un auto della polizia sarebbero entrati nella storia dei media.

Nei sei anni successivi quella strana macchina arancione, con uno 01 sulle portiere e la bandiera della Confederazione sul tetto di salti del genere ne avrebbe realizzati almeno due a puntata, venendo poi venduta in milioni e milioni di modellini in tutto il mondo. Ironicamente, proprio il primo salto sarebbe stato il più famoso di tutti, venendo usato alla fine della sigla d’apertura di tutte le puntate. Questa serie della CBS, conosciuta da noi come “Hazzard” è legata indissolubilmente agli anni ‘80 ed ha reso universalmente popolare una delle tante muscle cars dell’ultimo periodo d’oro del motorismo a stelle e strisce. La serie ha dato molto altro all’immaginario collettivo, dai cappelloni bianchi di Boss Hogg alle facce da bellocci dei cugini Bo e Luke ai pantaloncini attillati della splendida Daisy, tanto popolare da diventare sinonimo di quell’indumento. La vera star dello show, però, era indubbiamente la macchina, il “Generale Lee”, che ogni mese riceveva 35000 lettere da parte di bambini entusiasti. Questa è la storia di come una normale Dodge entrò a far parte della storia del costume, dei media e della politica americana.

Dodge Charger

La vera storia del Generale Lee

Verso la fine della serie, quando trovare nuovi argomenti era diventato difficile, fu la stessa CBS a spiegare come era nata la famosa auto, così da non ricevere più domande da parte dei fan a proposito del vistoso colore arancione, del perché le portiere fossero state saldate, costringendo i cugini Duke ad atletici ma maledettamente scomodi scavalcamenti per mettersi alla guida. La puntata la trovate anche su Youtube, in lingua originale così da farvi un’idea dell’accento molto “southern” degli attori e del commento semiserio, affidato ad un popolare cantante country, Waylon Jennings, autore peraltro della sigla originale, che in Italia non abbiamo mai sentito.

Un’altra delle cose che in Italia non abbiamo mai saputo è che la storia del Generale Lee e della famiglia Duke non veniva dalla fervida immaginazione degli sceneggiatori di Hollywood. Se l’idea per la serie venne riadattata da un film del 1975, la vicenda, avvenuta davvero, era stata raccontata in un libro dall’autore Jerry Rushing, in buona parte autobiografica. I cugini nel film si chiamavano Grady e Bobby Lee Hagg ma, in realtà l’autore stava parlando della sua famiglia e di come, nelle campagne del North Carolina, la sua famiglia avesse continuato per anni a produrre e vendere whiskey illegale, il cosiddetto “moonshine”, trasportato nei capienti bagagliai di auto modificate per sfuggire a quelle della polizia. Questa pratica, iniziata negli anni del Proibizionismo, continuò per decenni negli stati del Sud degli Stati Uniti, dove il revanscismo per la sconfitta nella guerra di secessione non si è ancora spento del tutto. I “bootleggers” e le loro “stock cars” truccatissime erano veri e propri eroi popolari, cantati in mille canzoni country, osannati da vicini e parenti.

Nel caso dei Rushing, l’auto non era affatto una Dodge, ma una Chrysler 300D del 1958, il cui potente V8 Hemi era stato elaborato per ottenere ancora più potenza. Questa muscle car non era affatto arancione; avrebbe attirato troppo l’attenzione della polizia. Era grigia ma dell’originale aveva solo le forme: in realtà poteva raggiungere i 230 Km/h ed aveva anche alcuni gadget che sembrano tratti dai film di James Bond, come una tanica di olio da versare dietro di sé per far sbandare le auto della polizia. I Rushers la chiamarono “Traveller”, come il cavallo grigio che il generale della Confederazione Robert E. Lee usò fino alla fine della guerra di secessione. Traveller sfuggì alla polizia per anni fino a quando, in una notte che immaginiamo buia e tempestosa, finì la benzina e venne sequestrata. Molti anni dopo, un collezionista la recuperò, restaurandola completamente. Rushing è morto nel 2017 ad 80 anni, dopo aver fatto causa ai produttori del film e della serie TV, che avevano preferito ignorare il suo ruolo nella genesi della storia dei Duke.

Hazzard

Nessuno sa perché fu scelta proprio una Charger del 1969 per la serie ma è certo che nessuno al nord della linea Mason-Dixie avrebbe capito la citazione: molto meglio chiamarla come il generale stesso. L’auto fu dipinta di arancione per esigenze di scena ma anche di copione: usare un colore così appariscente era come alzare il dito medio a Rosco P. Coltrane ed ai suoi sgherri, in tipico stile Duke. Altri dicono che il colore fu consigliato dall’esperto di tuning responsabile delle modifiche apportate alle Charger per lo show, George Barris. Per evidenti ragioni commerciali, la primogenitura è stata rifiutata seccamente dai producer dello show. Ammetterlo avrebbe voluto dire pagargli una bella fetta delle royalties derivate dalla vendita del merchandising. Quando si parla di almeno cento milioni di dollari, non è una cosa da niente.

La fabbrica di rottami

Le curiosità attorno a questa macchina molto speciale sono parecchie, quasi del tutto sconosciute alle nostre latitudini, a partire dalla famosa suoneria del clacson. Pochi da noi sanno che sono le prime 12 note di “I wish I was in Dixie Land”, l’inno non ufficiale della Confederazione, tuttora capace di far venire una lacrima a chiunque sia nato negli stati del Sud. Un altro dettaglio molto americano che è passato del tutto sopra alle nostre teste.

Le ragioni dei produttori per usare così tanti riferimenti alla cultura “redneck” erano abbastanza evidenti: nei palinsesti mancava un prodotto leggero, family-friendly che strizzasse l’occhio agli stati del Sud, da sempre trattati malissimo dalle élite delle coste. Usare la bandiera da guerra della Confederazione sembrò un modo per sottolineare che i Duke erano dei “ribelli”, gente fiera, indipendente, alla quale importa solo essere lasciati in pace, liberi di fare quel che ritengono giusto. Una scelta tutto sommato innocente che avrebbe creato parecchi problemi in seguito, ma per ora meglio concentrarsi sulle tante curiosità relative ai sei anni di riprese e alle enormi difficoltà per realizzare le spericolate acrobazie della macchina più famosa della TV.

Il salto della sigla, il primo in assoluto, fu il più lungo e alto di sempre ma le conseguenze per la povera Dodge furono devastanti: l’auto fu impossibile da riparare, tanto da dover essere rottamata. Nei salti successivi furono caricate da 500 a 1000 libbre di cemento nel bagagliaio per evitare che il naso della Charger, molto pesante, andasse giù troppo presto. Nonostante le precauzioni, ognuno dei due salti per episodio finiva per danneggiare pesantemente le auto: si calcola che nei sei anni furono usate da 285 a 300 auto, quasi tutte finite dallo sfasciacarrozze. Visto il consumo smodato di vetture, invece del modello del 1969 furono usate anche auto più vecchie, fino a quando trovare delle Charger divenne quasi impossibile. Se le riprese venivano fatte in Georgia, gli stunt furono quasi tutti realizzati a Hollywood, dove queste muscle cars erano molto meno popolari. A partire dalla terza stagione si iniziarono a cannibalizzare i rottami per modificare auto più moderne come le AMC Ambassadors. I producers fecero poi distribuire migliaia di volantini nella California del Sud per rastrellare quante più Chargers possibile. Alla fine, però, furono costretti ad usare delle miniature o filmati d’archivio, visto che nessuno voleva più vendere queste auto a prezzi ragionevoli. Fino a questo punto, ogni salto era stato fatto da stuntman professionisti, alcuni dei quali uscirono abbastanza malconci dall’esperienza.

Visto che registrare gli effetti sonori è una faccenda complicata e costosa, i montatori usarono quelli del famoso film di Steve McQueen “Bullitt”, che aveva come protagonista una Charger del 1968. Questo spinse molti a credere che il Generale Lee avesse un cambio manuale a quattro marce, come quella del film. In realtà l’auto arancione aveva un cambio automatico a tre marce. Dei tanti motori che la Dodge vendeva per la Charger, l’auto di “Hazzard” usò raramente i più potenti, i 440, che venivano riservati per i salti, dove la potenza era fondamentale. Di tutte le auto usate nelle riprese, solo 17 Generale Lee sono sopravvissuti ed ora valgono una fortuna. Nel 2008, John Schneider, l’attore che interpretò Bo Duke, vendette all’asta la sua auto, ottenendo la rispettabilissima cifra di 450000 dollari. Eppure, nonostante siano molto rare, di macchine arancioni con la bandiera da guerra della Confederazione se ne vedono parecchie, facendola diventare una delle più copiate auto della storia.

Il fascino della ribellione

La passione per questa macchina non è mai calata, nemmeno quando la serie finì nel 1985. Le Dodge Charger della seconda serie (dal 1968 al 1970) vengono spesso dipinte coi colori della famosa serie TV. La richiesta è talmente alta che ci sono ditte specializzate che le forniscono chiavi in mano a prezzi tutto sommato ragionevoli. Nel 2005, quando uscì lo sfortunato remake cinematografico, la Smith Brothers Restorations, nello stato di Washington, offriva un Generale Lee per 32500 dollari tutto compreso. I fratelli Smith cercano Charger in tutto il paese, prendendo anche dei veri e propri rottami da rimettere a nuovo: visto che di solito costano attorno ai 5000 dollari, il gioco spesso vale la candela, anche se sono da riportare al metallo e spesso da rattoppare con piastre nuove. Ci volevano circa quattro mesi per completare la trasformazione ma i clienti non mancavano, talvolta anche dall’Italia. A sentire Travis Bell, presidente del fan club del Generale Lee (sì, esiste davvero, non ce lo siamo inventati), ci sarebbero almeno 275 copie dell’auto in tutto il mondo, numero che sicuramente non è diminuito dal 2005 ad oggi. Basta un giro in Internet per rendersi conto che tutte le componenti dell’auto della serie sono disponibili a prezzi ragionevoli: la barra anteriore la trovate attorno a 350 dollari, il clacson musicale per 99 e 99, un set completo di decalcomanie per 275 dollari, con tanto di istruzioni dettagliate.

General Lee

Il bello è che non ci vuole molto per trasformare una normale Charger nel Generale Lee, cosa che fa andare in bestia gli amanti delle muscle cars. O la ami o la odi, tutto qui. Delle 19 auto rimaste nel parcheggio della Warner Brothers quasi tutte sono sopravvissute, dopo essere state vendute ai tanti fan nel 1991. I maniaci delle repliche spesso vanno a trovare i proprietari di questi rari originali, spesso persone normali come Jim Sirotnak, un dentista di una cittadina della Pennsylvania. La sua Generale Lee numero 35 la comprò nel 2002 per 48000 dollari ed è rimasta più o meno la stessa che ha passato anni nel deserto della California. L’auto arancione è diventata suo malgrado il simbolo del Sud, della ribellione, di un certo modo di vedere la vita, un po’ sopra le righe. “Sono un ragazzo di campagna finito per caso in Connecticut” dice un giovane proprietario di una replica. Ha passato quasi un anno, con qualche amico, a rimettere in sesto un mezzo rottame che aveva pagato poche migliaia di dollari. Per trasformarla nella Generale Lee più veloce e potente di sempre ne ha spesi parecchi di più ma ora è orgoglioso della sua creazione. “Solo il telaio è originale, il resto è tutto fatto su misura” dice. C’è chi gli ha offerto parecchio per averla, ma alla sua “Bad Lee” c’è troppo affezionato: “non potrei mai venderla”. Ogni tanto lo si trova al DukesFest, un convegno che si tiene ogni anno a Bristol, Tennessee, vicino ad una pista del campionato NASCAR, popolarissimo nel Sud. John Schneider viene spesso e volentieri, sia per incontrare i fan della serie che per mostrare le sue Generale Lee. Ne ha restaurate otto, vendendone una al cantante Kid Rock e ad altre celebrità. Cosa le rende uniche? Il fatto che non passano inosservate. Sirotnak, il dentista della Pennsylvania dice che “da qui al distributore ho suonato il clacson almeno tre volte, per far girare la gente”. Ogni tanto gli viene voglia di andare su due ruote, proprio come facevano Bo e Luke, ma poi lascia perdere. Certe evoluzioni meglio lasciarle ai professionisti.

La bandiera della discordia

Negli ultimi anni, con l’avanzata della cancel culture, questa icona della ribellione in salsa redneck è diventata suo malgrado protagonista dell’ennesima tempesta in un bicchier d’acqua. L’oggetto del contendere la bandiera da guerra della Confederazione, parte dell’identità di questa icona a quattro ruote. A rendere tossico questo simbolo della storia americana, la tragedia di Charleston, quando nel 2015 nove fedeli di una chiesa afro-americana furono uccisi da uno squilibrato che si faceva spesso ritrarre sui social proprio con quella bandiera. Se molti stati americani vietarono di esporre la bandiera, il canale TV Land, che aveva mostrato fino a quel momento le repliche della famosa serie televisiva, colse l’occasione per rimuoverla dal palinsesto. La tempesta mediatica convinse anche un campione dello sport, il golfista Bubba Watson, a ridipingere il tettuccio della sua Generale Lee con la bandiera americana, a scanso di equivoci. Watson, orgoglioso delle sue radici sudiste, assicurò di averlo fatto per “non offendere nessuno”, ma la cosa sembrò una reazione eccessiva nei confronti di uno show che non potrebbe essere più lontano da ogni accusa di razzismo. Watson aveva comprato l’auto ad un’asta nel 2012 per ben 110000 dollari perché da bambino guardava sempre “Hazzard” alla televisione e si era innamorato di quell’auto indistruttibile, che sembrava in grado di volare. Sebbene nessuno tra i suoi amici fosse offeso dalla sua presenza, preferì coprire la bandiera della discordia. Da allora è impossibile vedere “Hazzard” sugli schermi americani, a meno di non essere abbonati ad Amazon Prime Video.

Le cose si complicarono ulteriormente con il caos e le proteste violente successive alla morte di George Floyd e la crescita del movimento “Black Lives Matter”, tanto da convincere la Warner Brothers, detentrice dei diritti della serie, a non produrre più merchandising che includa la bandiera sudista. Se il direttore del Museo dell’Auto di Volo, uno dei più grandi in America, aveva rifiutato di ritirare dall’esposizione il Generale Lee, gli attori ed i produttori della serie avevano rifiutato ogni accusa: per Tom Wopat, l’attore che interpretò Luke, “l’auto non è certo colpevole di niente”, Schneider è stato ancora più esplicito: “nessun afroamericano mi ha mai detto di trovare offensivo il Generale Lee”. Il creatore della serie, Gy Waldron, dall’alto dei suoi 87 anni, dice che la guerra civile è una roba personale per chi, come lui, è nato nel Sud. “Ho avuto parenti che hanno combattuto per l’Unione e per la Confederazione. Quella bandiera non è mai stata collegata al razzismo, è solo un simbolo della nostra cultura sudista”. Per ora gli attivisti non sono riusciti a cancellare anche quest’altro simbolo della nostra infanzia. Le puntate, da noi, si vedono ancora, con buona pace di chi sembra cercare una scusa qualsiasi per scandalizzarsi. Agli amanti del Generale Lee, dello spirito ribelle del Sud, dell’individualismo un filino anarchico che si respira da quelle parti, onestamente, non è mai fregato molto cosa pensassero.

Quella macchina arancione, il suo clacson irridente, che vola da un argine all’altro, rimarrà sempre viva nei nostri ricordi – assieme alle gambe chilometriche di Catherine Bach ed ai suoi “Daisy Dukes”. Quelli, grazie a Dio, nessuno ha pensato di vietarli ancora.

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