Basta, lo Stato s’impegni per tutelare l’arte

Qualche sera fa in chiusura della campagna elettorale sono tornato a Viterbo e, accompagnato da un solerte cittadino amico, e da una giovane donna, Rosaria, mi sono trovato per la seconda volta davanti ad altri amici ospiti al ristorante «Templari». Si dovevano essere trovati bene, perché sono lì dal 1426: sono una Madonna in trono con il Bambino, Sant’Antonio e San Lorenzo, personaggi a grandezza naturale su un affresco che domina la parete principale. Per gli anni che hanno gli «ospiti» sono in ottime condizioni; ma una volta un terremoto, un’altra volta improvvide picconature, l’intonaco ha cadute e sollevamenti e attende una paziente manutenzione.
Tolti gli amici ansiosi nessuna autorità si è preoccupata di soccorrere i personaggi nel frattempo rivelatisi clandestini. Intanto perché non invitati e poi perché nessuno ritiene di dover avere la responsabilità di accudirli: non il sindaco, e cioè il Comune; non la Sovrintendenza, o il Ministero cioè lo Stato; non la Provincia, non la Regione, non benemerite associazioni di cittadini virtuosi. Perché questa disattenzione per quattro ospiti tanto antichi e preziosi? Perché sono «privati». Privato è il locale, privato l’affresco. Non quindi un bene di tutti, nell’equivoco che lo Stato o il bene pubblico sia una questione patrimoniale; mentre una testimonianza storica rimane tale per il suo valore spirituale, per la sua testimonianza di un’epoca. Così che dovremo concludere che Stato non è solo ciò che è pubblico, ma anche ciò che è privato, e di pubblico interesse; perché Stato è non la proprietà ma la coscienza del bene.
Non c’è quindi da stupirsi se nell’edificio più illustre della prima città d’arte del mondo, la Domus Aurea a Roma nell’area degli edifici imperiali del Palatino, possono crollare le volte, incredibilmente conservate nello stato originario, e il direttore dell’area archeologica Antonello Vodret, possa tranquillamente osservare che per questo monumento, solennemente inaugurato nell’era Veltroni, non ci sono stati finora sufficientemente soldi per il restauro e la manutenzione, aggiungendo: «Ci sono più di 150 ambienti non difesi dall’acqua, ma presto verranno avviati dei lavori di impermeabilizzazione del terreno, che finora non sono stati eseguiti perché non c’erano finanziamenti sufficienti». Tutto vero, e non è certo colpa di Vodret e neanche del nuovo ed esperto sovrintendente Giuseppe Proietti e neanche del ministro. È colpa della scellerata considerazione che nella politica italiana per vizi mentali, di fronte a una smagliante evidenza e a un da tutti deprecato degrado, con importanti e lodevoli eccezioni, ha il nostro patrimonio monumentale. Per mantenere il quale, tra mille burocrazie e gare, e sottovalutazioni delle esperienze e delle competenze il bilancio dello Stato impiega lo 0,20 per cento (tornato ai minimi storici) dei fondi generali. Nelle nostre leggi finanziarie questa risibile percentuale dovrebbe garantire la conservazione di uno smisurato patrimonio, quando uno Stato più ricco del nostro, quello francese, a fronte di un patrimonio molto meno esteso, garantisce il 3 per cento del bilancio e stabilisce, attraverso gli accordi con i Paesi arabi, altri finanziamenti, «affittando» i capolavori del Louvre. Ma questa è un’altra storia. Io mi chiedo: dal momento che i finanziamenti dello Stato dalla Sanità ai servizi sociali, alla Protezione civile, derivano dalle tasse che noi paghiamo, chi di noi ritiene che i suoi soldi debbano andare, a parte innumerevoli opere inutili, come le rotatorie con il contributo dei finanziamenti europei, disseminate lungo le strade di tutta Italia, per mantenere il nostro esercito, acquistare armi di ogni tipo e per funzioni diverse da quelle dell’assistenza a popolazioni bisognose in caso di catastrofi o terremoti?
Il crollo della Domus Aurea mostra lo stesso sconvolgente effetto di un luogo dopo un bombardamento o un terremoto. E sappiamo che potrebbe essere evitato se eserciti di soldati della bellezza fossero ovunque occupati per la vigilanza di questo patrimonio, in altre occasioni violato dal vandalismo e dalla criminalità come è accaduto in molte chiese depredate nel territorio di Napoli. Incuria, speculazione, abbandono, vandalismi, furti, ci mettono in uno stato di guerra permanente per la quale occorrerebbe un esercito attrezzato e dotato di mezzi. Se noi destinassimo lo 0,20 alle spese militari, con una drastica riduzione e l’assoluta certezza che per un’emergenza bellica le nostre forze sarebbero comunque insufficienti e il 2 e mezzo per cento (come credo sia il bilancio per la spesa militare) alla difesa del patrimonio, non avremmo interpretato la volontà dei cittadini, favorito il turismo e messo in sicurezza dai «bombardamenti» dell’incuria, oltre a tutto il resto, i nostri monumenti? Forse, invece di fare referendum per abolire il ministero del Turismo, come vollero i radicali anni fa, non sarebbe arrivato il momento di fare un referendum su questo tema e dare con ciò lavoro a quanti, nella giusta illusione della nostra realtà, hanno deciso di dedicare studi e sforzi per questo settore? Molto si parla e poco si fa. Eppure chiunque condivide questi pensieri si stupisce ogni volta che un crollo denuncia una realtà inaccettabile.

Perfino il ministro della Difesa condivide questa battaglia decisiva e potrebbe accettare il compromesso da me proposto in nome della civiltà e della pace. Che non sono concetti astratti di fronte allo scandaloso scenario di guerra del crollo della Domus Aurea.

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