È il giornalista e commentatore politico britannico che ha infuso nuova energia alla definizione di conservatore, che in La strana morte dell'Europa e La pazzia delle folle (entrambi Neri Pozza) ribalta le illusioni dei più su un possibile futuro di integrazione europea e su gender, razza e identità. Douglas Murray dimensiona la retromarcia totalitaria della cancel culture e ce ne dà ragione.
Pensavamo che il politicamente corretto fosse l'ultima frontiera. E invece.
«È in atto un tentativo di introdurre una nuova etica nelle nostre società. Un'etica dogmatica. Il suo presupposto è che per vivere bene bisogna combattere razzismo, omofobia, transfobia, misoginia, eccetera. L'errore non sta in questo, ma nel chiederci il 100% di accordo con tutto ciò che questa battaglia comporta, mostrando così la propria intolleranza nel momento in cui ci chiede di essere tolleranti. S'ingannano specialmente i giovani, facendo loro credere che il senso della vita si concentri in una propaganda vendicativa».
Chi ne trae beneficio?
«I sedicenti commissari culturali. Quelli che si comportano come generali incaricati della caccia alle streghe. Quelli che pretendono che ci sia un solo punto di vista, il loro. Questi, si avvantaggiano. Coloro tra noi che credono nella libertà di espressione e pensiero e nelle opinioni divergenti invece se la passano male».
Lei ha mai subito trattamenti censori di questo tipo?
«Sono abbastanza fortunato da non farmi pubblicare da editori deboli e facili a farsi intimidire. Ma ogni giorno ricevo lettere da persone di ogni condizione che spesso arrivano a perdere il lavoro perché si sono permessi di dire la cosa sbagliata».
Cosa pensa del manifesto contro la cancel culture firmato da 150 personalità della cultura?
«È ben scritto e conferma una serie di realtà che fanno impressione. La prima è l'esistenza di persone che dicono che la cancel culture non esiste e dobbiamo cancellare coloro che affermano l'esistenza di una cosa del genere. Un'altra gioia per me è stata vedere tra i firmatari alcuni idioti che hanno dato il loro supporto solo perché messi sotto pressione e poi hanno protestato: Quando ho firmato quella lettera a difesa di libertà di espressione e diversità di opinione non avevo capito che il mio nome sarebbe stato messo accanto a quello o a quell'altro. Mi sa che non hanno capito il punto».
Bandire o non bandire, quindi? Soffrire o armarsi, quando si tratta di cultura di massa?
«Come ha scritto il mio amico Flemming Rose in The Tyranny of Silence, ci sono due opzioni nelle società sempre più multiculturali. Possiamo smettere di parlare. O dobbiamo renderci conto che ci dobbiamo abituare a linguaggi diversi. Io preferisco questa seconda opzione. Preferisco dibattiti anche accesi purché seri, per cercare di arrivare alla verità. Li preferisco a una situazione in cui un'ortodossia domanda totale osservanza ai propri precetti.
Perché il problema con questa ortodossia, come dico in La pazzia delle folle, è che non solo si contraddice, ma non funziona. Suggerisco pertanto alla società di non seguirne le censure, ma anzi di smantellarle e denunciarle. E fare della nostra epoca qualcosa di più sensato.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.