La bella estate del 1939 Festival, feste e amori tra rotoli di filo spinato

Il cieco ottimismo di chi non volle vedere arrivare la tragedia dei lager

Badenheim 1939 (Guanda, pagg. 141, euro 13,50, traduzione di Elena Loewenthal) è un romanzo di Aharon Appelfeld, nato nel 1932 a Czernowitz, in Bucovina. Di famiglia ebraica, subì le persecuzioni dei nazisti: deportazione in un campo di concentramento con il padre dopo l’assassinio della madre, fuga a otto anni e peregrinazioni nei boschi dal 1940 al ’44, poi a lavorare nelle cucine da campo dell’Armata rossa in Ucraina per raggiungere nel ’45 l’Italia riuscendo ad approdare in Palestina, dove fu in seguito arruolato nell’esercito israeliano.
Badenheim è un luogo di villeggiatura nell’Austria annessa da un anno alla Germania come parte del Terzo Reich. Ma nel romanzo non si fa parola di eventi storici, di avvenimenti politici, mancano riferimenti ai nazisti e non si nomina Hitler. La data 1939 inserita nel titolo è la sola indicazione perché il lettore possa orientarsi. Si comincia con il ritorno della primavera e la luce che invade la via principale della cittadina. L’evento di maggior spicco è il festival previsto «in grande stile», organizzato al solito dall’impresario Pappenheim, uno dei protagonisti della storia. L’atmosfera a Badenheim è allegra, con la gente che «sperperava il proprio denaro in torte alla fragola». C’è un Dipartimento sanitario che in quell’anno vedeva ampliate le proprie competenze. I suoi ispettori «tendevano recinzioni, piantavano bandiere», «i facchini scaricavano rotoli di filo spinato, pali di cemento e attrezzature che facevano venire in mente una grande festa», per quanto i rotoli di filo spinato fossero più adatti a un campo di concentramento che a un festival «artistico».
Soltanto degli ebrei si parla esplicitamente e quella primavera è attraversata da presagi sinistri che nessuno sembra avvertire. A cominciare dall’impresario, preoccupato soltanto della riuscita di un festival «ricco di sorprese». Nessuno sembrava rendersi conto di essere alla vigilia della seconda guerra mondiale e il Dipartimento sanitario provvedeva intanto a registrare tutti gli ebrei di Badenheim. Mentre la Polonia, che sarà aggredita e invasa al più presto, era considerata «il paese più bello del mondo», un luogo «idillico, pastorale». Il Dipartimento sanitario favoriva intanto l’esodo in Polonia dove avrebbero dovuto concentrarsi gli ebrei in maggioranza di origine polacca. «Alla porta della città fu eretta una barriera. Non si entrava né si usciva più. Ma non era un blocco totale. I lattai portavano il latte e il camion della frutta scaricava cassette all’albergo. I due caffè erano aperti e l’orchestra suonava ogni sera. La vita mutò il suo corso normale: niente più boschi, passeggiate, picnic, escursioni decise sul momento o programmate. La vita era confinata in albergo, in pasticceria o nella piscina». Nessuno però sembrava rendersene conto e l’impresario Pappenheim era felicemente preso dall’idea di partire e raggiungere i «luoghi meravigliosi» della Polonia dove «è alto il livello artistico» a beneficio dei futuri festival.
Il romanzo, affollato da personaggi ben rilevati e figure minori con tratti originali e spesso divertenti, è percorso da un continuo chiacchiericcio fra villeggianti, artisti, orchestrali, camerieri, due passeggiatrici ormai sopportate dopo iniziali reazioni moralistiche, non più giovani e sopraffatte dalla concorrenza, i protagonisti del festival come i gemelli, due voci recitanti, alti, magri, dall’aria ascetica e le voci in cui fremeva una melodia malata, il grande musicista Mandelbaum atteso ansiosamente e finalmente arrivato per risollevare le sorti del festival. Intorno ai villeggianti e agli artisti presenti per il festival, c’è la gente del luogo, come la signora Trude, malata e preda di allucinazioni. Fra i tanti che si agitano incoraggiandosi a vicenda nella prospettiva di trovare nella Polonia la vera patria, non mancano i solitari come il professor Fussholdt, chiuso nella sua camera a correggere le bozze di un libro monumentale mentre la moglie Mitzi, che lo aveva sempre tradito, senza capire un’acca sulle sue ricerche, lamentava la propria solitudine e l’assenza di corteggiatori.
A conclusione di una storia vera o almeno verosimile narrata come una favola, gli ebrei accompagnati da un vecchio rabbino sono avviati fino alla stazione, dove una locomotiva che trascina «quattro laidi vagoni merci» li imprigiona per portarli non si sa dove.

E Pappenheim, sempre intraprendente e solerte, spronando continuamente gli altri a seguirlo in quella misteriosa avventura, sembra a un tratto ricredersi: «Se i vagoni sono così sporchi, significa che non si andrà lontano».

Questa sera alle 21 Aharon Appelfeld sarà a Milano, nella sala di via Sant’Antonio 5, per presentare, con Susanna Nirenstein, e Camillo Fornasieri, il suo romanzo Badenheim 1939.

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