In terra sconsacrata di Alessandro Zaccuri (Bompiani, pagg. 150, euro 10) è uno dei libri più belli usciti in Italia questanno. La forma del saggio non impedisce allautore di mostrare qui le sue eccellenti doti di scrittore, anzi. Come nella grande tradizione della prosa italiana, che è più saggistica che narrativa (il Dante prosatore, Machiavelli, il Leopardi prosatore, De Sanctis, Longhi, Contini - trovatemi sei narratori italiani che stiano alla loro altezza). La complessità della materia, la varietà dei riferimenti culturali e soprattutto loriginalità e la fondatezza dello sguardo fanno di In terra sconsacrata unopera di notevole importanza.
Il titolo fa riferimento al celebre saggio di Flannery OConnor Nel territorio del diavolo e introduce il grande tema: la permanenza del cristianesimo nellimmaginario scristianizzato del nostro tempo.
Cerano molti modi per realizzare questa impresa. Nelle arti visive, per esempio, linsistenza di temi cristiani e cristologici è imponente oggi come ieri. Come dice Damien Hirst, se si vuole parlare dellassoluto (di cosaltro dovrebbe occuparsi un artista?) è con queste cose - ossia con liconografia cristiana - che si devono fare i conti.
La scelta di Zaccuri è ancora più ardita, e necessaria: rintracciare questa permanenza non soltanto nelle grandi opere darte, ma anche nella cultura più bassa, finanche nei prodotti trash, come i film dellorrore. Insomma, nellimmaginario di tutti noi. Altrettanto coraggiosa è la scelta di porre tutta la sua - lucidissima e sempre interessante - trattazione sotto il segno della Bellezza (parola oggi quasi incomprensibile), a segnare limpossibile specchio nel quale il nostro tempo è chiamato, lo voglia o no, a guardarsi.
Un bellissimo libro, insomma, che come tutti i gioielli (pochi) di questa specie è anche unautobiografia rovesciata dellautore. Esistono passaggi, naturalmente, sui quali non concordo del tutto con Zaccuri, ma la forza e la vitalità del libro rendono le differenze più amabili di qualunque, morta convergenza.
Un elogio spetta anche allideatore della collana, Antonio Scurati, uno dei pochi ad avere capito che è tempo di scompaginare gli assetti della vecchissima cultura italiana. In questo sono totalmente dalla sua parte. Ma è necessario, come si dice oggi, «fare rete».
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