Berlusconi: «Dai giudici azioni a orologeria ma venderò cara la pelle»

Roma«Tranquilli, ho la pellaccia dura e semmai la venderò a carissimo prezzo... ». Passata l’irritazione del momento per «l’ennesimo tentativo di colpirmi» - nel caso specifico attraverso l’inchiesta sugli appalti della Protezione civile e il coinvolgimento di Guido Bertolaso - Silvio Berlusconi prova a voltare pagina. Mette da parte l’indignazione e tenta di uscire dall’accerchiamento di «certe procure», puntando proprio sulla sua «esperienza» in fatto di giustizia. Sembra un paradosso, ma il Cavaliere, metabolizzata la rabbia, intende ribaltare il progetto politico-giudiziario che mira a disarcionarlo, evitando ulteriori reazioni istintive. Insomma, buon viso a cattivo gioco.
Blindatosi per poco più di un giorno a Villa Certosa - era assente dalla Costa Smeralda da circa quattro mesi - il premier studia innanzitutto le mosse future in vista della lunga campagna elettorale per le Regionali. Cioè, molta tv e radio locale, pochi interventi pubblici, solo «blitz a sorpresa» per motivi di sicurezza. E alcune linee guida: puntare sulla validità delle candidate donne nel Pdl e sull’azione di governo, mettendo il dito nella piaga, quando serve, sullo «sfascio Pd». Sempre in attesa di capire se l’alleanza con l’Udc in Campania si faccia o no, per avere magari mano libera nell’attaccare la politica dei due forni amata dai centristi.
Regionali e giustizia. Due temi che si legano spesso, nei ragionamenti che il Cavaliere consegna ai suoi fedelissimi. D’altronde, fa notare il diretto interessato, «è sempre andata così, non è una novità vedere alcuni magistrati impegnati nel volermi distruggere, sia sul piano politico che economico». Come dire: «Certi giudici si muovono con un tempismo perfetto, con azioni precise a orologeria e seguendo lo stesso schema, roba da non crederci». Un esempio per tutti. Prima delle Europee si scatenò «guarda caso» la questione veline e ci fu un tam tam infinito sulle pseudo-rivelazioni di Patrizia D’Addario. E adesso? «Adesso, a ridosso delle Regionali, se la prendono con Guido per farmela pagare», rimarca nei suoi colloqui, pronto a riepilogare così: «Ahimè, è triste routine».
Per capirci, se da una parte Berlusconi non può che non prendersela, a caldo, quando si sente additato come mandante di stragi, colluso con la mafia, corruttore di giudici e via dicendo, dall’altra è convinto di avere in mano l’arma giusta per «rispondere alle calunnie». Ovvero, «i fatti, i risultati ottenuti dall’esecutivo». Non a caso, la linea difensiva, a sostegno di Bertolaso e del Dipartimento che fa capo a Palazzo Chigi, parte da questo concetto: «Nessuno può negare e toglierci i meriti che ci spettano, dal superamento dell’emergenza rifiuti a Napoli all’immediato intervento nelle zone terremotate. Ecco, queste cose vanno dette bene». Nessuno dubita che avverrà di continuo.
Insomma, chi ha modo di stargli vicino lo descrive «abbastanza tranquillo». Abbastanza, visto che a farlo inviperire, di recente, è stato pure il caso tangenti di Milano. «È una cosa inaudita. Non ammetto comportamenti di così basso livello e tenetevi pronti, perché se serve farò piazza pulita». In attesa che l’inchiesta della magistratura arrivi alle sue conclusioni, la vicenda di Milko Pennisi, consigliere comunale Pdl arrestato mentre intascava una tangente di cinquemila euro, lancia un forte campanello d’allarme nella mente di Berlusconi. Che valuta l’ipotesi di «allontanare subito dal partito chiunque si macchi di questi reati» e pretende «assoluta pulizia di candidature» in vista delle Regionali, a cominciare dalla Lombardia.
Appuntamento elettorale difficile - di questo ne è cosciente pure lui - che potrebbe rappresentare una sorta di «giro di boa» della legislatura in corso.

«Nei prossimi tre anni il presidente del Consiglio si gioca moltissimo», pronostica un ministro, secondo cui «da aprile, vedrete, senza più elezioni di mezzo, darà il meglio di sé, con l’unico obiettivo di realizzare il programma di governo». Sempre che gli basti, visto che giorni fa, a cena con Renata Polverini, tra un sorriso e l’altro ripeteva: «Resto fino al 2020».

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