da Roma
Per tutto il giorno, a Palazzo Grazioli largomento di discussione non è tanto lesito del voto sulla Finanziaria, quanto il tenore di quelle che sarebbero state a notte le dichiarazioni finali dei cosiddetti malpancisti. Con gli occhi puntati soprattutto su Dini e Bordon. Già, perché una cosa è votare la manovra «per senso di responsabilità verso il Paese» e parlare di «stagione politica finita», altra è dire che «la maggioranza non cè più». È, per capirci, la differenza che passa tra una prospettiva di rimpasto e una di governo tecnico. E di «presa datto di una maggioranza politica che non cè più» parla Bordon, mentre Dini invita a «superare rapidamente lattuale quadro politico» perché «il governo che ne è espressione non appare adatto a invertire la tendenza al declino del Paese». Insomma, una presa di distanze, forse non tanto decisa come se laspettava il Cavaliere ma comunque chiara. Tanto che a notte lex premier non esita a parlare di «implosione del centrosinistra». Che «si è verificata» perché «le dichiarazioni di Dini e Bordon hanno sancito la fine di questa maggioranza e di questo governo». Poi, la replica alle «ignobili calunnie della Finocchiaro» che in aula lo aveva accusato di aver tentato di «corrompere» alcuni senatori. «La realtà - replica il Cavaliere - è che questa Finanziaria ha dispensato denaro pubblico effettuando un gigantesco voto di scambio per cercare di tenere insieme» la maggioranza «che non cè più». «Coerenza vorrebbe che al ritorno in Senato questa manovra non venisse votata. Sono convinto che cadranno, la crisi è inevitabile». Anche per questo, da oggi a domenica Forza Italia manifesterà «in tutte le città dItalia» per chiedere di tornare alle urne.
È chiaro, però, che aver scavallato la Finanziaria allontana di fatto lipotesi di elezioni anticipate e pone invece le basi per una crisi politica che potrebbe sfociare in gennaio o febbraio in un governo tecnico. Anche perché la minaccia di Dini di non votare il protocollo sul welfare (che deve essere approvato entro lanno) non è neanche troppo velata. Più passano i giorni, però, più sallontana la possibilità di tornare alle urne, e perché iniziano a mancare i tempi tecnici e perché si va avvicinando la tagliola del referendum. Con tutto quello che comporta, a partire dalla ripresa del dibattito sulla riforma elettorale.
Detto questo, non cè dubbio che da oggi lo scenario nel centrodestra cambierà. Perché non solo Casini e Fini (ieri durante lufficio politico di An si è parlato apertamente di «sconfitta» della strategia di Berlusconi), ma pure Bossi, non sono più disponibili a restare sulla porta e sulle riforme non si tireranno più indietro. Tanto che davanti allingresso dellaula del Senato, Baccini non nasconde la sua convinzione che si vada ormai «verso un governo tecnico». «E lo dice uno - aggiunge non senza polemica verso Casini - che non si è mai fatto illudere dalla tesi della spallata e che non è tornato ad Arcore facendo linchino cinese». Baccini, insomma, è convinto che da gennaio la partita della legge elettorale «sarà apertissima» (come auspica lo stesso Cesa) e arriva pure a ipotizzare che Dini e gli altri insoddisfatti dellUnione «possano entrare nel gruppo dellUdc» in vista di un governo tecnico. Sulle riforme, invece, resta prudente il Cavaliere, convinto che sarebbe difficile da spiegare allelettorato quello che tutti leggerebbero come un inciucio. Detto questo, dice un senatore vicinissimo allex premier, non è «impossibile» che a febbraio, sfumata lipotesi elezioni anticipate, Berlusconi possa essere della partita.
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