Davanti a un pittore che pratica il Naturalismo, ovvero guarda la realtà, con curiosità, nei primi anni del '600, sembra inevitabile far riferimento a Caravaggio. E così avviene anche per il primo maestro della pittura barocca a Genova, Bernardo Strozzi. Osservando con attenzione i dipinti (molti sconosciuti o poco visti), in Palazzo Lomellino di Strada Nuova, si apprezza lo straordinario impegno di Anna Orlando e Daniele Sanguineti che hanno ristabilito, attraverso una revisione dei documenti, una cronologia più stretta e convincente del pittore e dei suoi rapporti con i pittori lombardi e l'inevitabile Caravaggio, indagando la sua precoce produzione dal 1600-1605, fino a indicare alcuni straordinari risultati tra 1610 e 1615. E anche il metodo espositivo è originale, accostando momenti lontani della produzione del pittore, come le nature morte del 1610-1615, con quelle del 1630-1635.
Ne esce una personalità dirompente, e in realtà all'opposto di Caravaggio, al quale pure indirizza una inevitabile curiosità, ma svolgendosi poi tutto in una euforia pittorica incontenibile. Non credo che sia mai esistito, prima di Strozzi, un pittore più gioioso. Ed è questo, prima di una desunzione diretta, che lo lega a Rubens. Una pittura inesauribile, vitalistica, dionisiaca. A ogni dipinto, Bernardo Strozzi sorprende. La sua produzione è incontinente, anche nella ripetizione dei soggetti; ed è con orgoglio che Anna Orlando smarca il suo pittore dalla dipendenza scolastica da Rubens e Van Dyck. E mentre alcuni dipinti, inediti o sconosciuti, soccorrono questa tesi, a partire dal Ritratto di frate cappuccino della collezione Koelliker, o dal San Giovannino o da Gesù e la samaritana, mai prima visto, incrociato con il Morazzone, altri indicano la sua originale interpretazione dei soggetti caravaggeschi, come la Vocazione di Pietro e Andrea o Gesù davanti a Caifa, ma tutti rivelano una energia creativa che si manifesta in una pittura libera, di stesura larga e veloce come un vento che non si ferma. Lo vediamo ovunque, nella Santa Cecilia, nella prorompente Allegoria della pittura, ma soprattutto in alcuni sorprendenti prestiti dai più importanti musei internazionali, che hanno creduto nell'impianto originale della mostra. Ecco allora il trionfante Suonatore di liuto del Kunsthistorisches Museum di Vienna o l'Allegoria della fama dalla National Gallery di Londra, insieme a dipinti essenziali come la pala d'altare per la chiesa di Sant'Ambrogio a Voltri, in cui il tizzone infuocato, tenuto in mano dalla Vergine, offre lo spunto di apertura al bel saggio di Lauro Magnani. Dipinti abbaglianti, sorprendenti, potentemente vitali come organismi viventi. Lo si vede anche in incunaboli come la pala d'altare con il Martirio di Santa Lucia di Campo Ligure, oggi riconosciuto come il luogo natale di Strozzi. Un dipinto originalissimo con una composizione sgangherata. Opere come questa e alcune madonne degli esordi scompaginano la cronologia e i punti di riferimento della formazione sempre meno caravaggesca di Strozzi, nonostante i dettagli di alcune nature morte, e sempre più lombarda, alla Cesare Procaccini e alla Morazzone. Così, fra i mille stimoli e un'efficace revisione dei documenti, possiamo riconoscere in Strozzi un pittore sempre più originale, libero, nuovo.
Nato a Genova nel 1581, Strozzi si forma sotto il vento caldo di Peter Paul Rubens e di Anton Van Dyck. Ma un sicuro rilievo anche per lui, come per il seducente pittore senese Pietro Sorri, di cui fu allievo, ragazzo, tra il 1595 e il 1598, dovette avere Federico Barocci, presente a Genova, nel 1596, con la Crocifissione per la Cattedrale. Inevitabilmente, l'attenzione di Strozzi è anche per la pittura lombarda, da Caravaggio a Morazzone, a Giulio Cesare Procaccini, da cui deriva l'empito barocco. Pittore di grande libertà e di gran sensualità, Strozzi, all'opposto del Cerano, rende euforica la pittura devozionale, alla quale si applica anche per destino di vita. Entrato in convento nel 1598, nell'ordine dei Frati minori cappuccini, riuscì ad uscirne temporaneamente nel 1608, alla morte del padre, per mantenere la madre vedova. Da qui lo status convenzionale di «prete genovese». Non è facile intendere come abbia potuto vedere i dipinti di Caravaggio, dal quale comunque la sua indole è distante. E, non avendo testimonianze certe di un viaggio a Roma, si può più facilmente immaginare che egli ne abbia avvertito lo spirito attraverso l'opera di Orazio Gentileschi.
Di questa fase sono notevoli esempi l'Incredulità di San Tommaso (1621 circa) e la Madonna con il Bambino e San Giovannino di Palazzo Rosso, così come la Vocazione di san Matteo del Worcester Art Museum. Nella composizione dei due episodi evangelici, con san Tommaso che infila il dito nel costato di Cristo, e il ragazzo in primo piano che conta le monete, così come nella canestra di frutta della Madonna con il bambino, le citazioni caravaggesche dall'Incredulità di san Tommaso, dalla Vocazione della Cappella Contarelli e dalla Canestra dell'Ambrosiana sono quasi letterali, anche se la stesura è densa e calda, e i colori vividi e luminosi. L'ardimento di Strozzi e la sua indipendenza, per virtù di mestiere conquistata, sono indicati dallo scandalo di scrittori come l'Alizeri, che definisce la Madonna di Palazzo Rosso, nella sua postura sguaiata col piede nudo sopra il cesto del cucito, «rappresentanza ignobile, sembiante e atti volgari», tanto più riprovevoli per chi firma «presbyter Bernardus Strozius».
Uno dei temi più frequentati da Strozzi negli anni '20 è il Tobia che cura il padre, di cui si conoscono tre versioni con poche varianti. Anche qui, ai motivi di naturalismo caravaggesco, come il ritratto dell'anziana madre e il cane, si integrano i colori caldi e squillanti di Rubens. Mentre nella pala con il Miracolo di San Diego di Alcalá (1625 circa), dipinta per i frati minori della Santissima Annunziata di Levanto, le figure dei pellegrini inginocchiati derivano della Madonna di Loreto di Caravaggio. Per il suo virtuosismo, Bernardo Strozzi ottenne l'apprezzamento e la protezione dei due cugini Giovan Stefano e Giovan Carlo Doria, esponenti della famiglia più ricca e influente di Genova. Strozzi ebbe così consuetudine con la sterminata collezione di Giovan Carlo Doria, che comprendeva capolavori di Van Dyck e di Rubens, e decine di opere di Giulio Cesare Procaccini. Notevole la sua attività di frescante, e particolarmente innovativa la concezione della decorazione di Palazzo Lomellino, con l'Allegoria della Fede e altri affreschi rimasti incompiuti.
Strozzi aveva un'avviata bottega a Genova presso gli orti di sant'Andrea. Di qui, in questi anni, escono alcune delle più celebri scene di genere, come La cuoca e Il pifferaio di Palazzo Rosso. La cuoca è una donna giovane e festosa, con una indimenticabile collana di corallo, che la sottrae alla condizione plebea, alle prese con la selvaggina, nella cucina di una dimora patrizia, come indica la sontuosa brocca d'argento da parata. Dopo la morte di Giovan Carlo Doria, nel 1625, Strozzi fu accusato, davanti al Tribunale Ecclesiastico, di pratica illegale della pittura, di lucrare sulla vendita di quadri e di dipingere anche soggetti profani, attitudine ritenuta incompatibile con la condizione di sacerdote. Dopo Paolo Veronese, un altro esempio di rivendicata libertà dell'artista. Alla morte della madre, per evitare di restare in monastero chiese e ottenne asilo nella Serenissima Repubblica, maggiormente tollerante. E, a Venezia, dopo una fuga precipitosa dal convento, si trasferì definitivamente nel 1632. Qui venne soprannominato «il Prete genovese». La notevole fama, velocemente acquisita grazie ai ritratti del cardinale Federico Correr e del doge Francesco Erizzo, gli permise di ottenere importanti commissioni come il tondo con l'Allegoria della scultura per il soffitto della Libreria Marciana, la Parabola del convitato a nozze (1630) per l'ospedale degli Incurabili, e la grande pala d'altare con san Sebastiano per la chiesa di san Beneto.
La predilezione del pittore per il Veronese era evidente già nella Cena in casa di Simone, dipinta per la chiesa genovese di santa Maria in Passione. Appartengono a questo periodo opere supreme come Giuseppe interpreta i sogni dei prigionieri (Fondazione Pallavicino), la Carità di San Lorenzo (Venezia, chiesa di San Nicola da Tolentino).
Negli anni di questa importante presenza veneziana si pone la lussureggiante Pala di Tiarno di sopra, commissionata da mercanti veneziani originari della Val di Ledro, i fratelli Sala, che donano l'opera nel 1640 per lasciare memoria nel loro paese d'origine. La si vede ora, trionfante, nelle sale del Mart di Rovereto, in dialogo con un Blue di Yves Klein. Nel 1644, con il pennello ancora acceso in mano, Bernardo Strozzi muore a Venezia, più vivo che mai.
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