Bertinotti imita Napolitano e dice addio ai comunisti

Il capo dello Stato striglia i dissidenti e l’ex leader del Prc invoca l’alleanza con i «borghesi buoni»

Luca Telese

da Roma

Poveri comunisti, di questo passo ce li troveremo in piazza a sfilare per chiedere a gran voce il ritorno di Silvio Berlusconi il «nemico», certo, ma almeno uno che li rispettava, li prendeva sul serio, li considerava in ogni caso pericolosi. Invece, da quando l’Unione è andata al governo, dal capo dello Stato al presidente del Consiglio, dal ministro degli Esteri al presidente della Camera, che pure in linea teorica dovrebbe essere uno di loro, è tutto un risuonare di insulti, sberleffi epiteti beffardi. Aveva cominciato Romano Prodi, dicendo che la sinistra radicale, Pdci e Rifondazione erano tutt’al più «un fenomeno folcloristico» (con tanto di smentite, scuse, ritrattazioni e correzioni), aveva proseguito il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, definendoli nella migliore delle ipotesi «incoscienti» cioè perfino privi di coscienza (mirabile la risposta di Claudio Grassi: «Ma chi si crede di essere, da uno che bombardava il Kosovo non accetto lezioni di coscienza»), ma poi ieri sono arrivate le stilettate più dolorose.
Passi per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ieri bastonava ferocemente, certo nessuno si aspettava l’ennesima metamorfosi di Fausto Bertinotti, che dimenticandosi improvvisamente di essere lo stesso che diceva «Viva Cuba e viva la lotta di classe!», «Quando vedo gli scioperi degli operai io mi commuovo», ieri invocava niente meno che «l’alleanza con i buoni borghesi». Parole che hanno fatto gridare a Marco Rizzo, del Pdci: «Orrore, Fausto sta dentro il recinto del sistema, non fa che dire “Guardate che non do più noia, ha abbandonato Marx e messo in soffitta il comunismo”».
E certo, i bertinottiani si metteranno a dire che è la solita invidia del Pdci, ma è innegabile che ormai, ogni volta che parla Bertinotti, invece dei vecchi ruggiti, l’intransigenza, le parole controcorrente, gli appelli per tassare i Bot, ormai ogni volta che parla Bertinotti si sente subito profumo di cipria, musica per spartiti da grand commis d’état e parole perfettamente intonate a quelle della maggioranza prodiana. Tanto per ricapitolare: si è messo la spilletta arcobaleno ma poi è andato alla sfilata delle Forze armate. Esplode il casino dell’Afghanistan, e lui se ne va a tagliare qualche nastro, lasciando cadere - proprio mentre gli amici pacifisti di un tempo saltano sulle barricate - quella parolina lì: «I nostri soldati sono in missione di pace». Proprio così, «soldati di pace», quella locuzione che un tempo considerava una bestemmia, roba che leggendolo sulle agenzie veniva da pensare che qualcuno avesse scambiato il suo testo con un discorso di D’Alema.
E invece nessuna beffa, è proprio Bertinotti che parla, certo, non c’è nulla di male nel cambiare opinione, ma ormai, da quando l’Ulivo è al governo, sembra una gara a chi è meno comunista. Parlando delle anime del Prc, Napolitano, all’intervistatore straniero che gli ricordava «Rifondazione è pur sempre la terza forza di governo», rispondeva quasi schifato: «Ma sono solo piccoli gruppi su posizioni anacronistiche, prive di realismo e con scarso seguito». E va bene, che qualcuno ha sempre sostenuto di Napolitano che non è mai stato comunista, ma diventare addirittura più anticomunista di quelli di An ce ne vuole. Allo stesso modo, sentire Bertinotti che parla di «borghesi buoni» è quasi più preoccupante che sentire Oliviero Diliberto che parla anche per scherzo, di «kulaki cattivi». Perché il comunista che scherza sugli orrori del comunismo, è più sincero del massimalista che veste il suo antico odio di classe con il velluto delle belle parole.
In realtà, quello cui la base di Rifondazione sta assistendo incredula è una mutazione genetica che avviene alla velocità della luce. È finito il tempo degli incontri con il comandante Marcos, è finito il tempo di «io sono ebreo, donna, omosessuale, lesbica», e così via, adesso Bertinotti non è più neanche un leader di partito, è solo il presidente della Camera, e forse uno dei più moderati che la Camera abbia avuto. Non perché abbia smesso di essere radicale, ma perché ha scelto di stringersi i piedi negli scarponcini della presentabilità sociale. In questa gara fra comunisti, post comunisti, socialcomunisti, che si divertono a prendere in giro le passioni dei militanti che li hanno votati fino a ieri, c’è qualcosa di drammatico e di malinconico.
Forse la «Base» manderà giù tutto, come in quel memorabile sketch in cui i due comici Ficarra & Picone impersonavano il segretario di sezione dei Ds, che resta disorientato davanti a un telefono che non squilla più. Prima si è spento il telefono del Pci, poi il telefono del Pds, adesso anche la linea di Rifondazione incomincia ad essere disturbata. Dice ancora Rizzo: «Bertinotti e Fassino stanno demolendo quel che resta della storia del movimento operaio, sono riusciti a fare quello che non riuscì ad Achille Occhetto». Forse non è vero, forse è un’esagerazione, certo, che chi si ricorda il subcomandante Fausto con la kefiah stretta intorno al collo, il pugno chiuso sul palco del congresso di Roma, fatica a credere, che lo stesso uomo ieri dicesse degli «eccessi» di Israele: «Non-c’è-dubbio che la risposta sia sproporzionata,-con-il-che-non-nego-minimamente-che-la-minaccia-terroristica-venga-percepita-da-un-Israele-che-vede-crescere-le-propensioni-a-mettere-in-discussione-la-sua-esistenza». Politichese puro.

E già si immaginano, il presidente e il portavoce, che lavorano con la gomma da cancellare sul virgolettato per renderlo il più possibile omeopatico e insignificante. C’è stato un tempo, in cui Fausto Bertinotti diceva «il sì vuol dire sì, il no vuol dire no, i passeri con i passeri». Adesso, quel Bertinotti, considererebbe questo Bertinotti un borghese. Ma non buono, cattivo.

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