L'illusione comunista (tra mito e tragedie) secondo François Furet

Comprendere la "fascinazione" tutta attuale dell'idea comunista è però uno sforzo che dobbiamo compiere tutti noi

L'illusione comunista (tra mito e tragedie) secondo François Furet
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Chi sono io per recensire François Furet? È il primo pensiero in mente quando prendi in mano l'elegante copia di Il passato di un'illusione, appena pubblicato dalla Silvio Berlusconi Editore. Si tratta di un saggio densissimo, con una scrittura favolosa, semplice, lineare e profonda. Comprendere la «fascinazione» tutta attuale dell'idea comunista è però uno sforzo che dobbiamo compiere tutti noi. E leggere in una prospettiva liberale e storica è fondamentale. Comprendere le radici del bolscevismo, il suoi legami, ma anche le sue distanze, dalla grande rivoluzione francese del '700 non è banale. Furet ci porta in un campo nuovo. Quella della storia e della sua necessità, direbbe qualcuno. «Anche se l'impero sovietico si rivela - ora, ndt - nella sua veste senza precedenti di una ex superpotenza che non è riuscita a rappresentare una civiltà», la rivoluzione di ottobre, da cui tutto è nato, resta pur sempre il grande evento del Novecento. A differenza del Terrore, e degli anni che lo hanno preceduto, Lenin, a differenza di Robespierre, accende la miccia di una rivoluzione, quella presunta proletaria, «nel più arretrato dei grandi paesi europei». Non è la Francia dei Lumi, non ha la lingua madre dell'occidente; la Russia è l'impero della povertà e dell'arretratezza, che per primo però scrive un modello politico e sociale contrapposto alla borghesia capitalista, che in quel luogo, paradossalmente, mancava. In pochi, contemporanei, comprendono il rischio fatale di questo esperimento. Tra loro, Furet dedica qualche pagina decisiva a Rosa Luxemburg, la socialista libertaria che comprende «come l'estrema centralizzazione del partito rischia di mettere il proletariato alle dipendenze d'una oligarchia intellettuale». In pochi la seguirono all'epoca, e in molti fingono di approvarla oggi. Ma si tratta di una critica di una lucidità incredibile.

In fondo tutto il fenomeno comunista leninista ha ancora il suo appeal occidentale, per quella considerazione iniziale ma anche finale che Furet fa nel suo libro: ci sono stati due mondi, il primo è stato governato dal partito unico, il secondo dove le democrazie liberali hanno difeso la libertà di opinione e di organizzazione dei partiti comunisti. «La cosa interessante scrive Furet è che l'idea comunista vive meglio nel secondo, dove resiste anche allo spettacolo offerto dal primo... forse perché non essendo mai stata un mezzo di governo, conserva in parte il fascino originale.

L'idea comunista ha vissuto, così, più a lungo negli animi che nei fatti; più a lungo nell'Ovest che nell'Est Europa: il suo percorso immaginario è più misterioso della storia reale». Il saggio di Furet serve proprio a spazzare via questo equivoco.

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