Roberto Fabbri
Un plebiscito scontato come la sua inattendibilità. Aleksandr Lukashenko, lex direttore di una fattoria collettiva sovietica diventato presidente-autocrate nel 1994, è stato rieletto a valanga secondo le previsioni. Unora prima della chiusura dei seggi, degli exit-poll organizzati da unorganizzazione vicina a Lukashenko il cui solo nome puzza di finto lontano un miglio (il «Servizio sociologico del comitato internazionale delle organizzazioni giovanili»), sulla base di interviste a un campione di 38mila elettori, già attribuiva l82 per cento dei voti al presidente uscente e un miserrimo 4,6 per cento al suo unico vero oppositore, Aleksandr Milinkevic (gli altri due sono dei fiancheggiatori del regime, al punto che Lukashenko ha detto di aver votato per uno di loro). Cifre che riflettono gli ordini dati ai media dal Grande Capo: del resto, per svolgere sondaggi di opinione in Bielorussia è necessario ottenere un permesso speciale, ed è facile indovinare da chi. In nottata i dati parziali davano addirittura il 92,6% a Lukashenko.
Milinkevic, il tranquillo intellettuale filoccidentale che con lappoggio morale dei suoi modelli Vaclav Havel e Lech Walesa ha avuto il coraggio di sfidare il padre-padrone che ha legato mani e piedi la Bielorussia al carro di Mosca, ha annunciato in anticipo che non avrebbe riconosciuto la validità dei risultati ufficiali e ha chiamato i suoi sostenitori a pacifiche manifestazioni di protesta già ieri sera. «È una menzogna che Lukashenko abbia vinto - ha dichiarato -. Ha preso solo il 45% dei voti; combatteremo perché le elezioni siano dichiarate illegittime». Ma dopo larresto di uno dei suoi principali collaboratori, Anatoly Lebedko, e i 250 casi da lui denunciati di arresti, pestaggi o perquisizioni illegali, Milinkevic ha preferito disertare la conferenza stampa in precedenza annunciata, temendo di finire in manette. Ha invece confermato la sua partecipazione alla manifestazione sulla piazza dellOttobre a Minsk, vietata dal regime. Già alle 19, quando le urne sono state chiuse si stavano radunando nella piazza circondata dalla polizia, portando fiori e le tradizionali bandiere nazionali biancorosse (Lukashenko ha ripristinato da tempo quella in auge ai tempi dellUrss), circa cinquemila persone, diventando diecimila in serata. Non un grande numero, ma va ricordato che Lukashenko aveva minacciato di «spezzare il collo» agli oppositori che avessero «passato i limiti», e che la nottata è stata scandita da una bufera siberiana. Milinkevic, un mazzo di garofani rosa in mano, ha gridato «Abbiamo trionfato sulla paura», mentre la folla rispondeva «Libertà, libertà» e gli altoparlanti della polizia ripetevano lavvertimento a non uscire dalla piazza.
Tutto questo perché Lukashenko ha il terrore di veder replicare a Minsk le scene già viste in questi anni a Belgrado, a Tbilisi e a Kiev, dove la folla delle rivoluzioni arancioni ha cacciato i vecchi autocrati postcomunisti amici della Russia. Si attendono nel frattempo, più che gli scontati risultati ufficiali, i responsi degli osservatori internazionali. Per quelli russi, non a caso, tutto è andato secondo le regole. Ma se quelli occidentali lavranno vista diversamente (lo si saprà oggi) dovrebbero seguire nelle prossime settimane le preannunciate sanzioni europee e americane contro il regime del piccolo Stalin di Minsk.
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