Bisignani ai giudici: così volevo zittire il Giornale

Altro che succubi del lobbista come insinua «Repubblica»: negli interrogatori il presunto capo della P4 racconta come il nostro quotidiano fosse per lui una spina nel fianco e come si affannò per bloccare l’inchiesta sulla casa di Montecarlo. Ma invano...

Bisignani ai giudici: così volevo zittire il Giornale

Roma Luigi Bisignani voleva zittire il Giornale. Il vertice della cosiddetta P4, l’uomo che secondo alcuni aveva più poteri di un presidente del Consiglio, il tessitore di mille trame, la fonte ambita da tanti giornalisti, la sponda morbida di triangolazioni eccellenti, la persona ascoltando le cui conversazioni si potrebbe compilare l’organigramma (quasi) completo del potere in Italia, vedeva il quotidiano che state leggendo come un fastidioso sassolino infilato nei meccanismi ben oliati del suo sistema di potere parallelo. Anzi, altro che sassolino: un masso pesante, da rimuovere con urgenza. E poco importa che qualcuno nei giornali di centrosinistra (leggasi Repubblica), insista nel cercare di accreditare il nostro giornale come uno strumento nella mani del faccendiere milanese, una pompa pronta a schizzare fango contro chiunque fosse necessario per le camarille dell’ex giornalista occhialuto.

Bisignani lo ha detto chiaro e tondo ai magistrati napoletani che conducono l’inchiesta sulla P4 nel corso dell’interrogatorio a cui è stato sottoposto qualche giorno fa: per lui le inchieste del Giornale erano un problema. Roba da perderci il sonno e la pazienza. Che fumo negli occhi quelle paginate durate mesi sulla casa monegasca di Gianfranco Fini, che dettarono l’agenda giornalistica e politica dell’estate 2010. Piccolo particolare: uno dei politici più vicini a Bisignani è Italo Bocchino, braccio destro del presidente della Camera; quindi non c’è da sorprendersi se ai magistrati il faccendiere ora spiega che il suo interesse era «che tutta questa gazzarra che c’era tra Fini e Berlusconi in qualche modo rientrasse. Io ritenevo che tutta questa confusione in seno alla maggioranza portava solo guai».

Allarme rosso: bisogna far tacere quei giornalisti scomodi che insistono a creare problemi al centrodestra nel nome sacrosanto dell’informazione. E infatti: «Ne abbiamo due o tre da zittire», dice spietato Bisignani in una conversazione telefonica intercettata, riferendosi ai dipendenti di via Negri. E uno di quei due o tre non può che essere Gian Marco Chiocci, ora vittima di velenosi attacchi di Repubblica, che in un articolo di venerdì scorso viene definito «amico» del faccendiere. Ieri il nostro cronista, in una lettera aperta al direttore pubblicata a pagina 9, ha raccontato di avere effettivamente più di una volta cercato di strappare qualche informazione a Bisignani, come si fa nel giornalismo d’inchiesta e come legittimamente fanno molti altri colleghi di altre testate, ma di averne cavato ben poco, forse perché, scrive Chiocci, «un po’ mi riteneva responsabile del casino politico che avevo combinato con l’inchiesta su Fini e la casa di Montecarlo che lui stesso (Bisignani, ndr) a un certo punto mi chiese (invano) di interrompere».
Ma non c’è solo Fini. Quando qualche mese dopo il Giornale si occupa di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, Bisignani si infuria di nuovo. «È sempre questo clima assurdo che c’è con questi del Giornale», dice il 9 ottobre 2010 Bisignani a Flavio Briatore, che chiede: «Comunque il Giornale è un danno, eh?». E Bisignani: «Un danno pazzesco, ma adesso ti pare che ci si mette contro tutti gli industriali italiani?».

Il giorno dopo Bisignani torna sulla questione parlando con tale Claudio: «Questi sono un gruppo di pazzi sabotatori che secondo me prima se li leva dalle palle il presidente e meglio è», dice il «Bisi» riferendosi a noi. E la lettura psichiatrica piace a tal punto a Bisignani che la utilizza anche tre giorni dopo con la pr Tiziana Biasini, che aveva detto di temere «questi del Fatto». «A me veramente - confessa Bisignani - fanno molta più paura questi del Giornale, devo dire la verità, perché sono dei pazzi».

Insomma, qualcosa non torna. Anche nella palude malmostosa in cui si muove Bisignani, un mondo in cui tutto ha contorni sfocati, alla fine le cose sono due: o si è amici o si è nemici. O si è un vantaggio o si è un danno. O si è sani o si è «pazzi».

O si è complici delle sue manovre o si è bocche da far tacere. E non c’è bisogno di interpellare Sherlock Holmes per capire che il rapporto tra il burattinaio e il quotidiano che state leggendo non è esattamente una storia d’amore.

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