Bisturi contro lo scompenso

«Riducendo lo spessore del ventricolo sinistro abbiamo ottenuto ottimi risultati», afferma il professor Menicanti

Ignazio Mormino

Sarà l’epidemia di questo secolo, un’epidemia con tante vittime. Lo scompenso cardiaco (che altera la funzione del cuore e ne modifica la forma) fa paura già oggi: solo in Italia, richiede ogni anno 164mila ricoveri ospedalieri. Oggi ne soffrono 600mila pazienti ma tra sei anni saranno più di un milione. È una patologia che diventa mortale in cinquanta casi su cento. Nei casi restanti rende la vita travagliata. In quelli più gravi riduce l’autonomia dei pazienti.
Allo scompenso, alla sua genesi, ai suoi sbocchi, è dedicato il convegno internazionale che si svolge in questi giorni a Milano, organizzato dall’Istituto clinico San Donato, dalla Società italiana di cardiologia accreditata (presieduta dal professor Cesare Proto) con la collaborazione dell’Università dell’Ohio e dell’Istituto cardiotoracico di Montecarlo. Il convegno, che nel titolo («The Leonardo da Vinci heart») rende omaggio al più grande genio italiano, intende affrontare questo tema con i più famosi esperti internazionali.
Presentando l’avvenimento, il professor Lorenzo Menicanti, che dirige la seconda Divisione di cardiochirurgia del Policlinico San Donato, ha ricordato che questa struttura è stata tra le prime nel mondo a praticare la terapia chirurgica dello scompenso cardiaco (inaugurata nel 1984 dal chirurgo francese Vincent Dor). Il professor Menicanti e la sua équipe cardiochirurgica hanno già eseguito 1.300 di questi interventi e hanno addestrato 180 chirurghi stranieri.
L’incontro milanese non ha affrontato soltanto il versante chirurgico ma anche quello clinico dello scompenso: dagli ace-inibitori ai beta-bloccanti, dai diuretici all’impiego delle cellule staminali. La terapia più efficace, è stato detto, resta il trapianto di cuore, che non è così frequente come si vorrebbe (nel 2004, in Italia, non si è arrivati a quota trecento). La chirurgia resta quindi la terapia d’elezione.
Il National Institute of Health, che è l’ente americano di controllo della sanità, crede molto nell’intervento di rimodellamento del ventricolo sinistro e per questo ha organizzato un trial che durerà tre anni e interesserà 2.800 pazienti, stanziando 45 milioni di dollari. Lo studio, che si chiama Stich, ha come presidenti del comitato chirurgico l’americano Roberto Michler e l’italiano Lorenzo Menicanti. I presidenti sono due: il canadese Rouleau e l’italiana Di Donato.
I risultati di questo studio potrebbero favorire lo sviluppo di una terapia chirurgica che finora rappresenta un’avanguardia ma può diventare una tecnica salvavita. Poche patologie, oggi, preoccupano come lo scompenso cardiaco.

Per questo c’è bisogno non di rimedi temporanei ma di terapie certe. Una popolazione che invecchia (dopo i 70 anni è scompensato un italiano su dieci) e che è già assalita da malanni gravi e sconvolgenti, ha bisogno di «sentire» che almeno il cuore funziona.

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