Blitz in banca con ostaggio Catturato uno dei banditi

Stefano Vladovich

Uccise l’amico per gelosia: dieci anni di galera. Prima sentenza, ieri mattina, nel processo per omicidio contro Patrizio Bianchi, 39 anni, accusato dalla compagna della vittima, M.S., 32 anni, di aver accoltellato Giuseppe Della Vecchia, 31 anni. La prima Corte d’Assise, presieduta dal giudice Francesco Amato, ha inoltre disposto per l’imputato tre anni di libertà vigilata, una volta espiata la pena, respingendo la richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere sollecitata dal legale dell’imputato. Il pm Giuseppe Corasaniti aveva chiesto una condanna a 20 anni di reclusione.
Una storia violenta consumata fra i palazzoni grigi di Ostia ponente il 4 giugno del 2004, davanti i «bassi» (negozi trasformati in abitazioni con muri al posto delle saracinesche) occupati da disperati e senzatetto. A ricostruirla gli uomini della squadra giudiziaria del XIII commissariato, che in poche ore trovano e arrestano l’omicida. Sono passate da poco le 22 di quel maledetto venerdì. Patrizio, «Pino» e la sua donna, dopo aver trascorso la serata in un bar del quartiere, vanno a casa della coppia, un appartamento comunale in via Forni. È qui che i due iniziano a litigare. Motivo? Apprezzamenti, non graditi, di Patrizio nei confronti della padrona di casa. Pino è geloso e quel comportamento non gli va affatto giù. Insultandosi i tre scendono in strada, all’angolo con via del Sommergibile. La discussione diventa sempre più animata. A un certo punto, secondo i testimoni, Patrizio estrae un coltello a serramanico e colpisce Pino a morte. Una coltellata all’altezza del torace e Giuseppe crolla a terra in un lago di sangue. Patrizio è già scomparso quando arrivano le volanti e l’ambulanza. La corsa all’ospedale Grassi non serve a nulla. Inizia la caccia all’assassino.
Bianchi abita in un monolocale di uno stabile Iacp di via Domenico Baffigo, a poche centinaia di metri dal luogo del delitto. Quando arrivano quelli della «speciale» lui è in casa, in pigiama. Si barrica dentro: «Non entrate o faccio pazzie», grida. Sfondata la porta Patrizio nega ogni cosa: «Con questa storia non c’entro niente». In un sacchetto i poliziotti trovano dei pantaloni sporchi di sangue. Bianchi si lascia ammanettare. Persino di fronte al vicequestore Vitarelli e al magistrato di turno nega l’evidenza. A inchiodarlo i jeans macchiati e la testimonianza della donna. Bianchi, d’altra parte, ha precedenti per tentato omicidio, armi e rapina. Pochi giorni dopo è il fratello del presunto omicida, Nunzio Rocco Bianchi, 53 anni, a impugnare un lungo coltello da sub e puntarlo contro la guardia giurata in servizio al Sert, il servizio per le tossicodipendenze di via Tagaste.

L’uomo, sconvolto dalla droga, si scaglia prima contro un’infermiera poi sul vigilante per protestare dell’arresto del fratello minore, l’ultimo di tre figli. Un fatto che solo per miracolo non si trasforma in tragedia, come nell’agosto ’97 quando, sempre nell’androne del Sert Amerigo Serrecchia, 26 anni, uccide il 28enne di Acilia Fabio Livi.

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