Bob Dylan è Mr. Hyde: il poeta del rock gioca con la musica

Il cantautore al pianoforte conclude a Milano il suo trascinante minitour stravolgendo classici come «Mr.Tambourine Man»

Antonio Lodetti

da Milano

«Quando avrò 90 anni e mi vorrai vedere, mi troverai da qualche parte su di un palcoscenico», confidava Bob Dylan qualche tempo fa. Così nel suo tour senza fine (partito nel ’75 dopo otto anni di assenza dalle scene) il poeta del rock continua a dare il meglio di sé in concerto, come ha fatto sabato sera al Forum di Assago con uno splendido e spiazzante show che ha chiuso il suo minitour italiano. Accantonata la protesta, Dylan gioca con il rock come forma di espressione totale, colorandolo ora con pennellate country, ora con irruente cavalcate hard, ora con lunghe improvvisazioni blues e jazz, ora con morbide e felpate melodie. La sua arte è un mistero; più si racconta senza nulla concedere ai fan, più questi gli si stringono attorno, lo applaudono, cantano con lui il refrain di Just Like a Woman, lo trattano come la rockstar che non ha mai voluto essere. Lui sta defilato, minuto, di nero vestito, acquattato dietro al suo pianoforte (la chitarra ormai appesa al chiodo, pochi ma sentiti sprazzi d’armonica)a scatenare i suoi dissonanti accordi da pianista di saloon.
Oggi si diverte stravolgendo completamente i suoi cavalli di battaglia; non li riarrangia semplicemente, li sbriciola e li ricompone tanto da renderli irriconoscibili, come la lenta e quasi valzerata versione di Mr. Tambourine Man o la ricca rilettura country rock (con tanto di violino) della caustica canzone d’amore Boots Of Spanish Leather, un antico gioiello che da tempo non proponeva dal vivo. E l’elenco potrebbe continuare con il banjo e la minacciosa batteria che sottolineano la crepuscolare Ballad Of Hollis Brown (storia di un contadino del South Dakota che, stanco di lottare contro la fame, uccide la moglie, i cinque figli e si suicida). È il canto di Dylan che colpisce (e che lascia attoniti gli spettatori meno avvezzi ai suoi colpi di testa), sempre più refrattario alle regole della metrica e dell’armonia. A volte sembra un ventriloquo; se ne frega bellamente del fraseggio corretto, dell’intonazione. Prendiamo Forever Young o la morbida Lay Lady Lay; Dylan le interpreta passando dal borbottio all’ululato, dal ringhio a un disidratato falsetto da finto «crooner». I suoi toni vocali sembrano quelli di Popeye che incrocia un vecchio bluesman ubriaco; sovverte le regole metriche per adattarle alla sua disincantata poesia.
Questa volta però al primato della parola accompagna la cattiveria del rock; alle rotondità country fanno da contraltare robuste cavalcate di pura energia.

La band (le chitarre di Tennis Freeman e Stuart Morse Kimball; la pedal steel e il banjo di Don Herron; la batteria di George Recile e Tony Garnier che alterna basso e contrabbasso)si scatena in ruvidi e possenti elaborazioni di Maggie’s Farm (il pezzo che apre il concerto e che, nel ’65, segnò la clamorosa svolta elettrica di Dylan al Festival di Newport), delle gloriose Highway 61 Revisited e Memphis Blues Again (con lunghi intermezzi strumentali in cui Bob si alterna alle chitarre col suo audace pianismo fai da te), in brani tratti dall’ultimo cd Love and Theft per legare presente e passato fino all’esplosivo All Along the Watchtower (degna di una band hard rock) che conclude il concerto come secondo bis, dopo l’eterea Don’t Think Twice It’s Allright. Qualcuno è frastornato, ma i fan di Bob che hanno riempito il Forum sono al settimo cielo. Hanno ritrovato un poeta e scoperto un entertainer.

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